di Vittorio Galigani
Voleva stadi di proprietà, società calcistiche che potessero sostenersi con i propri ricavi. Quando gli dissi che desideravo andare via dal Milan ci rimase male
Giussi Farina, il primo presidente manager, era anni luce davanti a tutti. Era un visionario. Avesse avuto la giusta disponibilità economica sarebbe stato in grado di stravolgere, in meglio, il sistema. Avrebbe anticipato i tempi. Erano gli anni ’80. Aveva da poco acquistato il Milan da Felice Colombo lasciando in garanzia proprietà immobiliari, mica a soldi.
Ancor prima fu protagonista del calciomercato. Era ancora presidente del Vicenza e “divideva” con la Juve degli Agnelli la comproprietà (allora erano di moda) di Paolo Rossi. L’astro nascente di quel periodo che aveva fatto mirabilie e gol con la maglia dei veneti. In disaccordo sulla risoluzione del contratto arrivarono alle offerte in “busta”, come tradizione chiedeva. Farina meravigliò l’Italia del pallone con un’offerta stratosferica. Circa due miliardi e mezzo di lire. Gianni Agnelli ci rimase male. Stranamente l’anno successivo il Vicenza retrocesse in serie B.
Farina acquistò il Milan da Felice Colombo, dicevamo, agli inizi del 1982. Era ancora il periodo dei presidenti “paperon dei paperoni”. Le regole erano profondamente diverse dall’attuale. Lui, fuori da quel contesto, segnò l’inizio dei presidenti manager. I Club dovevano produrre risorse e dovevano sostenersi con i propri ricavi, quello era il suo credo. Un’idea “rivoluzionaria” per quei tempi di difficile realizzazione. I tempi non erano ancora maturi e gli eventi lo dimostrarono, costringendolo all’abbandono dopo quattro anni.
Calcio e caccia le sue passioni. Possedeva tenute in Italia e sparse per il mondo, anche in Sud Africa e Spagna. Vi allevava animali principalmente volatili. Aveva un fare avvolgente, disponibile e gioviale. Un innovatore, di grandi iniziative, già in quegli anni pensava agli stadi di proprietà.
Mi programmò un viaggio in sud America, ufficialmente per visionare delle giovani promesse del calcio argentino, brasiliano ed uruguagio, in realtà per studiare l’organizzazione dei club di quei Paesi. Rimasi più di un mese. In Argentina fui ospite, tra le altre, anche dalle dirigenze del RiverPlate, dell’Estudiantes e del Boca Junior. Ebbi l’opportunità di visitare la “Bombonera” il famoso, storico stadio dei gialloblu. Avevano metodi all’avanguardia rispetto a quelli italiani. Esistevano già i palchi riservati per ospitare le famiglie dotati di tutti i comfort. All’interno della Bombonera, oltre ad assistere alle partite, potevi passare la giornata in buona compagnia. Farina cullava quel progetto. Una mentalità retrograda del nostro sistema, tempi, metodi e …finanze non glielo permisero.
Tra i molteplici aneddoti ricordo un viaggio aereo, in sua compagnia, verso Barcellona. Durante il volo, seduti uno accanto all’altro, confidò che quel periodo non era molto soddisfatto del gioco prodotto dalla squadra.Tra il serio ed il faceto, con un sorriso sornione tra le labbra se ne uscì, compiaciuto, con una battuta. A suo dire avrebbe voluto assumere, contemporaneamente più allenatori con caratteristiche diverse. Uno con gioco a zona, l’altro specializzato nella marcatura a uomo. Un difensivista, uno votato all’attacco e così di seguito, da utilizzare a seconda delle caratteristiche degli avversari. Facendo indossare, a turno, una apposita maschera. Sempre la stessa, con lo stesso viso. Disse con una risata: “alla maniera di Diabolik, con il guaio che quella maschera, dopo poche giornate di campionato vorrei indossarla sempre io!”
Quando gli comunicai, imbarazzato, che intendevo lasciare il Milan ci rimase male. Mi disse soltanto: “ Tutti vorrebbero venire al Milan, solo lei se ne sta andando, è ancora tanto giovane, avrà modo di pentirsene”. Il tempo, galantuomo, mi insegnò quanto avesse avuto ragione.