A Taranto rischia di cascare il mondo, d’interrogarsi su quale sia il sesso degli Angeli, se apporre – o meno – una firma sul Dis-Accordo di Programma, e Antonio Decaro resta senza voce. Di farlo, poi, da presidente della Commissione Ambiente in Europa. In questo manicomio succedono cose da pazzi
Tutti parlano tranne uno. Il Dis-Accordo di Programma sull’Ilva regala l’eloquio anche alle pietre. Il presenzialismo agli sconosciuti di professione. Nessuno nega una dichiarazione a nessuno nell’ennesima, torrida estate tarantina. Il vociare confonde i contenuti; e allarga le maglie del chiacchiericcio fine a se stesso. L’ambiente, il lavoro, i diritti, i doveri, il rigassificatore, Emiliano, Bitetti, il vaccino civico Florido, la pietra Angolano del nuovo vecchio populismo: non esiste silenzio meditato, contemplativo in questa storia gravida di frastuoni. Di rumori compiuti alla controra. L’unico che nega la parola, e si nega, è Antonio Decaro. Muto come un pesce sull’argomento.
Strana la vita: colui che dovrebbe parlare, che avrebbe titolo a farlo, che presiede la Commissione Ambiente in Europa, sceglie foneticamente di restarsene afono. Di eclissarsi in un cielo fluorescente. Non prende, furbescamente, alcuna posizione. Predilige i voti, quelli sì da prendere e conseguire, alle partigianerie delle idee. L’indifferenziato alla raccolta differenziata dei ragionamenti coraggiosi. Alimentando, così, la nuova frontiera delle democrazie rappresentative: sotto i selfie, niente o poco altro. De-caro: il prezzo calmierato di una politica senza voce.