I fratelli Ladisa hanno promesso un progetto. Ora è il momento di presentarlo, nel dettaglio e davanti alla città: obiettivi, tempi, risorse, uomini. Solo così potranno dimostrare di essere venuti a Taranto per rilanciare una storia sportiva gloriosa, non per cogliere opportunità diverse
Taranto Calcio, serve chiarezza: la città, le Istituzioni, non solo politiche, attendono i fatti. La rinascita dei rossoblu avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta per la città e per l’intero movimento sportivo ionico.
Dopo il bando pubblico promosso dal Comune e l’assegnazione del titolo sportivo ai fratelli Ladisa, le premesse sembravano incoraggianti: un progetto industriale solido, investimenti certi, una chiara visione a medio termine per riportare i colori rossoblù tra i professionisti, fino a tornare in Serie B, perché no! Tutto questo, però, al momento resta sulla carta.
A distanza di mesi dall’aggiudicazione del titolo, il tanto atteso piano industriale non è mai stato presentato pubblicamente. Né è stata ufficializzata la composizione della struttura societaria, elemento che il bando stesso riteneva essenziale. Il Comune, attraverso il sindaco Piero Bitetti, aveva chiesto non solo garanzie economiche, ma anche linee programmatiche precise: investimenti graduali, ma reali e concreti, capaci di accompagnare la squadra dall’attuale Eccellenza regionale fino agli agognati palcoscenici del calcio professionistico.
Si trattava di una condizione logica, oltre che sportiva. Lo stadio Erasmo Iacovone, attualmente in fase di completa ristrutturazione, con fondi pubblici per circa 80 milioni di euro, verrà riconsegnato alla città nel giugno 2026 in vista, appunto, dei Giochi del Mediterraneo. Sarà un impianto modernissimo, da 20 mila posti, all’altezza delle ambizioni di una grande città. Sarebbe un paradosso, se non un’umiliazione, inaugurarlo con campionati dilettantistici e rimanere, nel tempo, al passo con quella categoria.
Eppure, mentre il campo chiede programmazione sportiva, i nuovi proprietari sembrano aver rivolto lo sguardo altrove. L’attenzione dei Ladisa, infatti, più che sui piani tecnici e sugli investimenti riguardanti la squadra, si è concentrata su un progetto che riguarda la gestione pluridecennale dello stadio Iacovone.
Una mossa che, al di là delle apparenze, rischia di identificarsi come prematura e persino impropria, in considerazione che l’impianto è ancora un cantiere. Uno scheletro di strutture. Parlare oggi di concessioni trentennali, di migliorie o di nuove funzioni commerciali, di cambiamenti al piano regolatore, quando non si conoscono nemmeno i futuri costi di gestione e manutenzione (ordinaria quanto straordinaria), significa voler anticipare troppo i tempi. Con il rischio poi di schiantarsi nella politica delle intenzioni.
Inoltre, lo stadio, proprietà pubblica, resta soggetto alle decisioni del Consiglio comunale e alla vigilanza della Corte dei Conti. Non è un bene privato da valorizzare, ma un patrimonio collettivo che deve essere restituito alla città e ai suoi tifosi.
È questo il punto centrale: Taranto ha bisogno di imprenditori disposti a credere ed investire nel calcio tarantino. Con passione. Perché solo attraverso un progetto sportivo serio e vincente potrà generarsi quell’indotto economico e sociale che dà senso a ogni tipo di investimento.
Oggi, anche in Eccellenza, il Taranto muove entusiasmo: oltre 2.500 presenze a partita, perché lo stadio Italia di Massafra ha quella capienza ed è costantemente “sold out”, se potesse ospitarne di più non ci sarebbero limiti. È il segno che la città c’è, che la passione è viva. Ma la fiducia è un bene fragile: senza chiarezza, senza un piano, senza risultati, rischia di svanire.
I fratelli Ladisa hanno promesso un progetto. Ora è il momento di presentarlo, nel dettaglio e davanti alla città: obiettivi, tempi, risorse, uomini. Solo così potranno dimostrare di essere venuti a Taranto per rilanciare una storia sportiva gloriosa, non per cogliere opportunità diverse. Perché qui, dove si vive di pane e calcio, chi cerca consenso senza passione viene presto identificato. E chi tradisce la fiducia di un popolo sportivo come quello tarantino, difficilmente viene perdonato.


