sabato 27 Luglio 24

Ma quale orgoglio spartano? I tarantini non amano la propria storia

Una passeggiata tra alcuni resti archeologici dell’antica Taras, che giacciono semi-dimenticati tra escrementi e rifiuti, nell’indifferenza generale

Taranto per svincolarsi dalla monocultura dell’acciaio deve puntare sul turismo.

Bene, anzi benissimo.

Peccato che valorizzare il proprio patrimonio storico e archeologico sia, per molti cittadini, l’ultimo dei pensieri.

Passeggiando tra via Emilia e Corso Italia, accanto alla chiesa Madonna della Fiducia, mi imbatto nei resti della cinta difensiva di Taras, l’antica Taranto, l’unica colonia di Sparta.

Si tratta di pietre millenarie, risalenti al 400 a.C., recanti in alcuni casi ancora simboli e lettere greche che servivano a numerare i blocchi.

Ciò che balza immediatamente all’occhio è la mancanza assoluta di cartelli informativi, che diano conto dell’importanza di queste testimonianze preziose della storia della nostra città.

I resti della cinta difensiva di Taras coperti da escrementi animali

Ricchezze che dovrebbero essere valorizzate ed esibite con orgoglio, prendendo spunto da città che hanno molto meno ma riescono a costruire interi musei su quel poco che hanno.

Qui, invece, solo una minuscola e quasi nascosta targa, posta di lato all’ingresso del luogo, indica che siamo in presenza delle antichissime mura di Taras.

La minuscola targa che informa della presenza dei resti della cinta difensiva di epoca spartana

Ma perchè evitare di attrarre l’attenzione su questo posto, quasi nasconderne l’importanza? Il motivo è presto detto.

Su questi blocchi di pietra millenari i tarantini portano i propri animali domestici a fare i loro bisogni.

I resti dell’antica cinta difensiva giacciono tra una moltitudine di escrementi, mosche, carte e mozziconi di sigarette.

Il tanfo, già nelle prime ore del mattino è insopportabile e d’estate rende la situazione insostenibile.

Ora, immaginiamo un turista che si imbatta, come è accaduto a me questa mattina, nei cittadini di Taranto che, forse fraintendendo il celebre episodio di Filonide, fanno urinare i cani sul proprio patrimonio storico e archeologico: quale ricordo potrà conservare della nostra città?

Quale stima potrà mai avere dei nostri beni se noi per primi riserviamo loro questo trattamento?

E perchè l’amministrazione comunale non pensa ad un sistema di videosorveglianza che possa dare senso al paradossale cartello posto all’ingresso del luogo, che vieta l’ingresso ai cani ed è puntualmente ignorato dai tarantini? Multe sacrosante, che frutterebbero alle casse comunali ben più di quelle, ormai famigerate, per i parcheggi.

E ancora, dove sono le cooperative archeologiche e tutti coloro che vantano Taranto come città spartana? Perchè non investire sulla valorizzazione e tutela di queste vestigia?

I resti dell’Acquedotto romano, in corso Italia, tra rifiuti di ogni genere

Ma soprattutto, dove sono finiti il senso civico, il rispetto, la responsabilità dei cittadini di Taranto?

Non se la passano meglio i resti dell’Acquedotto romano che si trovano in Corso Italia: sulla muratura di sostegno, della quale è visibile il caratteristico opus reticulatum di epoca imperiale, troneggiano frutta e verdura provenienti dal vicino mercato, rifiuti di ogni genere e gli immancabili escrementi.

Insomma, se lo spirito con il quale emanciparsi dall’ex Ilva è questo, la strada da percorrere è ancora molto lunga.

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