Per il presidente di Acciaierie d’Italia il mercato dell’acciaio è stato segnato dalla pandemia e dal conflitto russo ucraino che ha causato un effetto shock sulla produzione e sul prezzo
“Se l’arretrato non verrà saldato, le forniture si interromperanno e l’attività di Taranto sarà irrimediabilmente compromessa”. Lo ha detto Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, in audizione oggi alla commissione Industria del Senato sul decreto legge 2 del 2023 riferendosi all’approvvigionamento del gas che alimenta gli altiforni nel siderurgico di Taranto. Il mercato dell’acciaio, ha aggiunto Bernabè, è stato segnato da “due eventi straordinari, la pandemia e conflitto russo ucraino” e questo ha causato un “effetto shock su produzione e prezzo”. C’è stato, per Bernabè, uno ” straordinario aumento dei prezzi del gas e dell’energia elettrica. Taranto uno dei più grandi consumatori di energia” e il prezzo del gas è “aumentato di oltre 6 volte il livello medio”. Ad agosto, ha riferito il presidente di AdI, si è toccato un picco di 350 euro a megawatt” e in termini complessivi si è passati dai 200 milioni “di un anno normale come il 2020 e il 2019 a 1,5 miliardi, in parte compensati dalla tax credit ma è un onere insostenibile che ha generato arretrati di pagamento e non solo verso i fornitori di energia”.
“Per una società che ha fatturato 3,5 miliardi un aumento dei costi di circa 1 miliardo è assolutamente insostenibile. E va dato all’amministratore delegato di aver condotto l’azienda in una situazione di estrema drammaticità”. Quindi “bene ha fatto lo Stato da tempo a considerare la strategicità di questo settore”. “Ho vissuto esperienze drammatiche – ha aggiunto Bernabè citando le sue precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione della chimica “con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio” – ma la situazione di AdI è infinitamente più complessa di quella che ho vissuto in qualsiasi altro esperienza. Questa è una situazione molto, molto più complicata. L’ad ha fatto molto”. E il nuovo decreto, per Bernabè, “credo che attenui una parte dei problemi. Potremmo pensare a riprendere”.
Parlando della grave crisi finanziaria di Acciaierie d’Italia, Bernabè ha spiegato che l’uscita della società dal perimetro della multinazionale, “ha tolto l’azienda dal campo di consolidamento di ArcelorMittal”. Quest’ultima, ha aggiunto, “forniva di fatto il finanziamento del circolante” ed Adi “che dipendeva da ArcelorMittal per il finanziamento del circolante, si è trovata improvvisamente senza la possibilità di finanziare il circolante. Che, nel caso di AdI, società che fattura oltre 3,5 miliardi di euro, e che ha un ciclo di lavorazione di almeno sei mesi, comporta l’esigenza di un castelletto bancario di almeno 1,5 miliardi. La società – ha detto ancora Bernabè – non è bancabile, non ha accesso al credito, se non in misura limitatissima, e non ha un’azionista che la sostenga finanziariamente con l’uscita di ArcelorMittal perchè lo Stato non può intervenire se non in condizioni molto particolari e strumenti di tipo legislativo per il sostegno finanziario della società. Ma non può certamente finanziare il circolante”. AdI quindi, ha spiegato Bernabè al Senato, “si è ritrovata senza la possibilità di accedere al credito bancario” ed ha dovuto “gestire tutto il processo produttivo e commerciale per cassa, utilizzando la cassa generata dalla vendita per finanziare soprattutto l’acquisto di materia prima” che “va pagata all’atto del carico della nave. La cassa che genera l’azienda la parte più importante, quella immediatamente disponibile, deve essere destinata all’acquisto di materie prime senza le quali il ciclo produttivo si interrompe. Questa è la ragione della sofferenza dell’indotto che purtroppo ha pagato costi molto elevati” ed ha portato “insieme ad Acciaierie d’Italia un peso abnorme rispetto a questa straordinaria situazione di non bancabilità dell’azienda” ha evidenziato Bernabè in riferimento alla situazione delle imprese di Taranto. (AGI)
“Se l’arretrato non verrà saldato, le forniture si interromperanno e l’attività di Taranto sarà irrimediabilmente compromessa”. Lo ha detto Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, in audizione oggi alla commissione Industria del Senato sul decreto legge 2 del 2023 riferendosi all’approvvigionamento del gas che alimenta gli altiforni nel siderurgico di Taranto. Il mercato dell’acciaio, ha aggiunto Bernabè, è stato segnato da “due eventi straordinari, la pandemia e conflitto russo ucraino” e questo ha causato un “effetto shock su produzione e prezzo”. C’è stato, per Bernabè, uno ” straordinario aumento dei prezzi del gas e dell’energia elettrica. Taranto uno dei più grandi consumatori di energia” e il prezzo del gas è “aumentato di oltre 6 volte il livello medio”. Ad agosto, ha riferito il presidente di AdI, si è toccato un picco di 350 euro a megawatt” e in termini complessivi si è passati dai 200 milioni “di un anno normale come il 2020 e il 2019 a 1,5 miliardi, in parte compensati dalla tax credit ma è un onere insostenibile che ha generato arretrati di pagamento e non solo verso i fornitori di energia”.
“Per una società che ha fatturato 3,5 miliardi un aumento dei costi di circa 1 miliardo è assolutamente insostenibile. E va dato all’amministratore delegato di aver condotto l’azienda in una situazione di estrema drammaticità”. Quindi “bene ha fatto lo Stato da tempo a considerare la strategicità di questo settore”.
“Ho vissuto esperienze drammatiche – ha aggiunto Bernabè citando le sue precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione della chimica “con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio” – ma la situazione di AdI è infinitamente più complessa di quella che ho vissuto in qualsiasi altro esperienza. Questa è una situazione molto, molto più complicata. L’ad ha fatto molto”. E il nuovo decreto, per Bernabè, “credo che attenui una parte dei problemi. Potremmo pensare a riprendere”.
Parlando della grave crisi finanziaria di Acciaierie d’Italia, Bernabè ha spiegato che l’uscita della società dal perimetro della multinazionale, “ha tolto l’azienda dal campo di consolidamento di ArcelorMittal”.
Quest’ultima, ha aggiunto, “forniva di fatto il finanziamento del circolante” ed Adi “che dipendeva da ArcelorMittal per il finanziamento del circolante, si è trovata improvvisamente senza la possibilità di finanziare il circolante. Che, nel caso di AdI, società che fattura oltre 3,5 miliardi di euro, e che ha un ciclo di lavorazione di almeno sei mesi, comporta l’esigenza di un castelletto bancario di almeno 1,5 miliardi. La società – ha detto ancora Bernabè – non è bancabile, non ha accesso al credito, se non in misura limitatissima, e non ha un’azionista che la sostenga finanziariamente con l’uscita di ArcelorMittal perchè lo Stato non può intervenire se non in condizioni molto particolari e strumenti di tipo legislativo per il sostegno finanziario della società. Ma non può certamente finanziare il circolante”. AdI quindi, ha spiegato Bernabè al Senato, “si è ritrovata senza la possibilità di accedere al credito bancario” ed ha dovuto “gestire tutto il processo produttivo e commerciale per cassa, utilizzando la cassa generata dalla vendita per finanziare soprattutto l’acquisto di materia prima” che “va pagata all’atto del carico della nave. La cassa che genera l’azienda la parte più importante, quella immediatamente disponibile, deve essere destinata all’acquisto di materie prime senza le quali il ciclo produttivo si interrompe. Questa è la ragione della sofferenza dell’indotto che purtroppo ha pagato costi molto elevati” ed ha portato “insieme ad Acciaierie d’Italia un peso abnorme rispetto a questa straordinaria situazione di non bancabilità dell’azienda” ha evidenziato Bernabè in riferimento alla situazione delle imprese di Taranto. (AGI)