Il segretario Generale Paolillo: “Per salvare l’acciaio tarantino serve ridimensionare la fabbrica”
“E’ tempo di verità. Continuare a mantenere l’idea di poter vendere l’ex Ilva mantenendo lo stabilimento siderurgico di Taranto nelle attuali dimensioni, in primis strutturali ed occupazionali, potrebbe purtroppo confermarsi un boomerang per la città, per il Paese e per i lavoratori stessi.” Lo afferma in una nota Fabio Paolillo, Segretario generale Confartigianato Taranto.
“Nonostante la buona volontà del Governo di provare a vendere l’intero asset, giustamente con il vincolo della decarbonizzazione ma anche quello dei livelli occupazionali, il risultato dell’ennesima gara di vendita descrive esattamente ciò che impietosamente chiede il mercato e cioè che gli investitori industriali vogliono solo i pezzi migliori, più snelli, funzionali e redditizi, senza grossi problemi ambientali ed occupazionali, mentre il cerino acceso della fabbrica-monstre di Taranto, che divora risorse, salute e speranze viene lasciato agonizzante nelle mani dei tarantini. Eloquenti sono i piani che emergono, in queste ore, dalle offerte presentate dai fondi di investimento speculativi per l’intero asset.
Da anni si alimenta la favola di un’acciaieria infinita, mente Taranto continua a pagare con la salute, l’ambiente ed un’economia locale soffocata. – Sottolinea Paolillo – E’ ora di dire basta. Il futuro dell’acciaio di questa città non passa più per un colosso ingestibile, ma per un impianto ridimensionato, moderno e sostenibile. Esattamente come si è proceduto e si sta procedendo in simili realtà in altre parti d’Europa, ne più ne meno.
Questo significa accettare una conseguenza durissima ma inevitabile: il taglio della metà della manodopera, se non di più. Altrimenti quella fabbrica non la prenderà nessuno. Nessun progetto industriale, che deve giustamente contenere la riconversione green del ciclo produttivo, potrà essere sostenibile mantenendo lo status quo occupazionale, tenuto conto della latente crisi internazionale dell’acciaio.
I dati della cassa integrazione adottata negli ultimi 15 anni ci dicono che mediamente circa il 40% della forza lavoro è ferma. E’ la dimostrazione plastica che il sistema è insostenibile e che la difesa cieca dell’occupazione totale potrebbe rivelarsi come la Caporetto per il futuro dello stabilimento. Sia chiaro, come Confartigianato comprendiamo la gravità della situazione e di quanto stiamo dicendo, ma siamo molto preoccupati per quanto sta avvenendo. – Si legge nella nota – Siamo i primi a voler conservare i livelli occupazionali, ma come artigiani siamo abituati ad affrontare giornalmente le difficoltà di petto, con decisione. Se si vuol salvare quella fabbrica, seriamente ambientalizzata, quello occupazionale è per forza di cosa un sacrificio necessario, perché continuare a difendere l’indifendibile significa condannare tutti – operai, famiglie, imprese – ad un declino senza ritorno.
Come Confartigianato lo diciamo da mesi e purtroppo i fatti sembrano dimostrare che non ci sbagliavamo. Per questo il territorio deve mostrarsi pronto a battersi per un piano di riconversione serio, che non lasci i lavoratori soli, ma che metta al centro nuove imprese, nuove competenze ed un modello di sviluppo vero. – Afferma il Segretario Generale – E per questo riteniamo fondamentale implementare con urgenza un serio piano di formazione per riconvertire gli esuberi del siderurgico, e gli artigiani sono pronti a fare la loro parte nell’accompagnamento e all’arricchimento delle competenze delle maestranze, considerata la gran fame di manodopera che hanno le piccole imprese tarantine.
Meglio una fabbrica dimezzata ma ambientalizzata e viva, che oltre alla manodopera, dia lavoro anche ad un diffuso indotto locale, che un gigante malato che porta solo malattie, dolore e fallimento, che brucia giornalmente ingenti risorse per mantenere in vita un impianto obsoleto, ipertrofico e incompatibile con la città.
Per decenni a Taranto ci hanno raccontato una favola tossica: senza Ilva la città muore. Molto comodo per chi ci ha lucrato sulla monocultura dell’acciaio. – Sottolinea – E’ vero che in passato la fabbrica ha dato lavoro e benessere diffuso, anche agli artigiani, agli autotrasportatori, ma è altrettanto vero che da quasi vent’anni non è stato più cosi, sono state cancellate la maggior parte delle relazioni economiche col territorio, si è chiusa in se stesso decidendo di approvvigionarsi di servizi da poche predilette imprese e spesso neanche locali, mentre la città veniva sacrificata e le imprese soffocate.
Ma Taranto – conclude Paolillo – non morirà con il ridimensionamento del siderurgico, anzi muore, semmai, se continueremo ad accettare che tutto ruoti attorno a questa fabbrica, con i suoi problemi economici, produttivi ed ambientali, che sono poi diventati prepotentemente quelli dell’intero territorio.”