Sembrava più una simpatica rimpatriata di reduci e combattenti, quella andata in scena ieri sera a Taranto, che l’assemblea di un cartello di forze politiche. Non esiste visione, progetto, per un potere che ha intrapreso la via discendente della propria parabola
C’erano tutti quelli che dovevano esserci ieri pomeriggio per l’assemblea di “Io c’entro”. C’erano i partecipanti e le partecipate. C’erano i consiglieri: quelli consigliati e quelli consiglianti. C’erano i presidenti di municipalizzate a presidio degli astanti. C’erano gli assessori con la fissa del selfie made man. C’erano i professionisti già incaricati e quelli che potrebbero essere presi in carico. C’erano gli imprenditori degli appalti comunali, capitani coraggiosi di cerimonie ufficiali. C’era la grande bellezza di Sorrentino nel Black Friday della politica tarantina. C’erano parenti e affini, perché la sala fosse gremita in ogni ordine di posto. Tutti precettati. Tutti ben pettinati. Tutti così tutto. Solerti al richiamo – e agli anatemi – di un potere alla fine del suo potere. Assai permaloso, poco permeabile alla critica. C’era anche chi non c’era, alla fine, ieri sera. Evocato con la retorica insita in certi convitati di pietra. Accarezzato con le lusinghe del pentimento postumo.
Mancava la visione, il progetto, la fatica delle analisi coerenti. Adombrate da sintesi anodine, proiettate come ombre sui muri dei desiderata personali, degli arrivismi privi di empatia. Mancava Taranto con le sue molteplici ferite socio-economiche. Le sue contraddizioni culturali. La sua decadenza geopolitica. Mancava la passione di chi aggiunge senza dover sempre togliere qualcosa a qualcuno. C’è vita al di là di un paio di candidature da strappare alle prossime regionali, di un prescelto da crescere pane e nutella per la successione a Melucci, di una lista civica fatta nascere per portare voti al centrosinistra che, comunque, al centrosinistra sarebbero arrivati? Probabilmente si, ma ieri tutto ciò non si è visto – e palesato – nell’assemblea di “Io c’entro”. Una simpatica rimpatriata di reduci (molti) e combattenti (pochi). “Piazze – o sale – piene, urne vuote”, ripeteva con sagacia il vecchio Pietro Nenni. Ma quella era un’altra politica.