D’Amato e Stellato restano fuori dal Parlamento europeo. Non c’è posto per alcun tarantino nell’assemblea di Strasburgo. Più si alza il tiro e più noi usciamo di scena. Ricacciati nel cono d’ombra di un’ambizione negata sul nascere
Non è un posto per i tarantini l’Europa. Non più. Così come non lo è, da circa quarant’anni e passa ormai, uno qualsiasi dei diversi dicasteri romani (l’ultimo ministro, espresso da questo territorio, è stato il socialista Signorile a metà degli anni ’80 del secolo scorso). Così come non lo è la presidenza della Regione Puglia. Non c’è mai stato un presidente che provenisse dalla città dei due mari, proposto da chi di dovere, eletto dal popolo. Così come non lo è qualsiasi cosa che conti davvero alla fine. Più si alza il tiro, più la posta diviene importante, e più Taranto esce di scena. Si eclissa. Scompare nel cono d’ombra di un’ambizione negata sul nascere. Risulta, insomma, non pervenuta.
D’Amato e Stellato dovranno accontentarsi di vedere in cartolina la città di Strasburgo, sede del Parlamento europeo. La prima c’è stata nella città francese, per due legislature, senza che nessuno se ne accorgesse. Impalpabile solo come il vento che si volesse disegnare. Il secondo fa tante cose, vuole farne ancora di più, ha un simpatico accento napoletano, e si lascia logorare dal sostegno al sindaco Melucci. Più gli resta vicino e più erode il consenso che ancora conserva. Per uno strano meccanismo oggetto di studio da parte della comunità scientifica, Stellato salva puntualmente Melucci senza essere salvato. Lui allarga le braccia, l’altro fa spallucce. Lui non va dal notaio per sfiduciarlo, l’altro si fa fotografare con il senatore della Lega Marti. Un classico esempio di psicopolitica, raccontataci da Byung-Chul Han nei suoi meravigliosi libri. Turati spesso ripeteva: “Come sarebbe bello il socialismo senza i socialisti”. Anche Taranto senza i tarantini. Questi tarantini.