Taranto, città dei binomi originali, e mai del tutto definiti, bussa alla porta della propria Storia. Le prossime Amministrative segneranno uno spartiacque tra passato e modernità. Tra Io C’entro e Noi Ci Siamo. Si prediliga il giorno ai perdigiorno
Ripensare Taranto tirandosi fuori dall’incedere ordinario. Lavorare alla Grande Taranto: Città Metropolitana, euro-mediterranea, limes tra un passato non del tutto passato e una modernità prossima a nascere. Tra uno schema produttivo assistenziale e un modello innovativo di libera intrapresa. Una Taranto industriale nella compatibilità ambientale, con un terziario avanzato, un’università realmente autonoma e dedita alla ricerca di qualità, vocazioni (ancore in nuce) turistiche da esibire senza tentennamenti. Complice l’inverno demografico, che secondo uno studio condotto dalla Fondazione Hume, colpirà il capoluogo jonico nei prossimi trent’anni (assieme a Catania) più di qualsiasi altra città italiana, serve inventarsi qualcosa. Dotarsi di una programmazione non impigliata nelle secche burocratiche di una democrazia procedurale. Avere visione, idee, coraggio. La giusta postura per riaccendere passioni a lungo sopite.
Taranto non ha bisogno di pacchetti di voto a digiuno di analisi grammaticali, della via circense all’impegno pubblico. Dell’Io C’entro in luogo del Noi Ci Siamo. Si prediliga il giorno ai perdigiorno, la luce al buio, l’etica alle prediche. Il futuro è già adesso. Già cominciato in quello che i futurologi chiamano presente progressivo. E si misura dalle scelte che avremo la forza di compiere. Dalla composizione delle liste, da partiti che non si riducano a ventriloqui di poteri altri, da confraternite della pizzella limitate – e limitabili – nell’incetta bulimica d’incarichi.
Le prossime Amministrative segneranno uno spartiacque nella città dai binomi originali e mai, compiutamente, definiti: due mari, due isole (tre con la Città Vecchia), due ponti, due statue dei marinari, ma un solo Pronto Soccorso. Binaria nella sua unicità. Ambivalente nella lettura monocorde della propria vicenda contemporanea. Vivere consiste nel costruire ricordi futuri, per dirla con le parole di Ernesto Sàbato. Sarebbe ora d’iniziarlo a fare.