mercoledì 4 Dicembre 24

La sera dei miracoli

E’ un piccolo Consiglio comunale, quello della seconda città pugliese. Ricorda i versi di una canzone di Lucio Dalla. Più della sfiducia del presidente di un’assemblea, è il lascito di questa condotta a preoccupare per il futuro. L’aver ridotto il gesto pubblico a disputa privata

E’ un piccolo Consiglio comunale quello di Taranto. Senza qualità, come l’uomo di Musil. Decadente. Con una maggioranza brava soltanto nello sfiduciare il malcapitato di turno. Afona. Quasi volesse trovare riparo, per la propria condotta, nel silenzio. Nelle teste abbassate, impossibilitate a guardare negli occhi il dirimpettaio come riflesso (in)condizionato di una coscienza volata altrove. E un’opposizione (FdI e Svolta liberale) che alla lotta politica, al distinguo dei valori, preferisce le ricreazioni festose nei corridoi fuori dall’Aula. Anodina. Votata al tatticismo digiuno di strategia. Interessata, con molta probabilità, su chi possa ricadere la scelta del prossimo presidente dell’Autorità portuale. La seconda città pugliese ricorda nella sua mimica precaria, in una postura posticcia “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla. “Una sera così strana e profonda che lo dice anche la radio/Anzi la manda in onda/Tanto nera da sporcare le lenzuola/È l’ora dei miracoli che mi confonde/Mi sembra di sentire il rumore di una nave sulle onde”. Si sporca la democrazia, i suoi costrutti liberali, per desideri di rivalsa. Per adolescenziali manie di vendetta. Perché la protesta fine a se stessa impedisca alla proposta, al garbo istituzionale, la risalita della china.

Più della sfiducia del presidente di un’assemblea consiliare, pratica in uso nelle dittature e nelle teocrazie dispotiche in luogo dei regimi occidentali, è il lascito di questa condotta a preoccupare per il futuro. I guasti determinati, difficili da cancellare. L’aver ridotto il gesto pubblico a disputa privata. Un sindaco che stringe la mano al suo ex sodale e, un secondo dopo, con la stessa alzata di mano lo sfiducia. E lo accompagna, mano nella mano, al patibolo dell’umiliazione istituzionale. Non motivando la sua scelta, negando – e negandosi – la parola. Perché certe parole rovinano il silenzio, ma anche certi silenzi possono rovinare le parole. Taranto meriterebbe ben altro. E invece la Storia, svirgolando nella modestia che ricorda la miseria di Dostoevskij, ha voluto negarle un presente. Relegandola nel cono d’ombra di maschere prive di volti.

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