Le lacrime di Decaro, ogni due per tre, riprese da Francesco Merlo su “la Repubblica”. Il pianto è politica. Siamo all’incontinenza delle emozioni
Quello dalla lacrima facile. Piange Antonio Decaro, il politico lacrimoso. Ogni due per tre. Per la sua squadra di calcio: la Bari. Per il Covid, quando era sindaco della città adriatica. Piange assieme ad Elly Schlein che lo abbraccia – e lo consola – vedendolo turbato per la sua candidatura alla Regione. Piange per la vittoria in Puglia dei giorni scorsi, la più scontata della storia repubblicana.
Fosse un collirio, il nuovo governatore si atteggerebbe a lacrima artificiale. Piange compiaciuto “Antò mena”, perché la mascolinità fragile è cool. Moderna. Social. Acchiappa i like. E varca, in egual misura, l’ultima frontiera prima dell’estinzione definitiva del maschio. Quella più gettonata dalla società dei consumi che, Pier Paolo Pasolini, affermava essere la vera minaccia fascista del nostro tempo. Altro che Meloni&Company. Quella più ricercata dalle aziende di comunicazione.
Caduto in disuso il maschio Alfa (e Alfetta), la virilità è vulnerabilità. L’eccitamento predilige il politicamente corretto alla via delle lenzuola. Su la Repubblica di ieri, Francesco Merlo è intervenuto sul tema. Focalizzando il proprio pensiero sull’argomento: “Il pianto è politica. C’è una grande abbondanza di lacrime politiche in Italia. Siamo all’incontinenza delle emozioni. Si piange perché il copione prevede la retorica della spontaneità. Se potessi consigliare a Decaro dove piangere, direi a casa con la testa sotto il cuscino”. Don’t cry for me, Decaro.


