Il poliambulatorio di Statte, allagato dalla scarna pioggia di un inverno estivo, dopo soli tre anni dalla sua inaugurazione, la questione morale denunciata da Enrico Berlinguer, l’uccisione del merito. Spunti per una riflessione sul declino del nostro Paese
Piove nel poliambulatorio di Statte, inaugurato solo tre anni fa. Piove su una sanità pubblica che ha venduto l’anima al diavolo e non solo quella. Piove sui diritti sacrificati e vilipesi, impossibilitati nell’opporre una qualche resistenza ad un capitalismo tronfio. Senza naso. E senza etica. Piove sugli ultimi che mai diventeranno primi. Piove sul bagnato in una comunità commissariata, nei giorni scorsi, per infiltrazioni mafiose. Piove su una sinistra di governo, culturalmente insipida, politicamente ipocrita, come quella che da anni ha piantato le tende nel municipio dell’ex borgata di Taranto. Piove su una democrazia divenuta oligarchia degli apparati burocratici. Piove sul diritto di cronaca riciclatosi nel frattempo in esercizio interessato del silenzio. Piove governo ladro, come si sarebbe detto con scanzonato linguaggio da Prima Repubblica. La recrudescenza della questione morale, il malaffare tracotante, la schiera degli impuniti, si ripropone con tutta la propria virulenza nella vita pubblica italiana. Ad onor del vero, questa prassi non è mai cessata. Anzi. Solo degli illusi, prezzolati mercanti della disinformazione spacciata per verità, scalpitanti eredi di tradizioni politiche sconfitte dalla storia, potevano lasciar credere che, chiusa la stagione di Tangentopoli, tutto volgesse per il meglio. Tutto fosse rientrato nei ranghi di una moralizzazione del nostro agire pubblico. E le istituzioni, come d’incanto, si ponessero al riparo da arrampicatori seriali e perdigiorno compulsivi.
I fatti di Statte, quelli di Bari, i diversi – e ripetuti – pronunciamenti dell’Antitrust su Kyma Ambiente e cartelli più o meno orizzontali posti in essere negli affidamenti di appalti pubblici, indicano quello che Enrico Berlinguer disse diversi decenni orsono in una profetica intervista concessa ad Eugenio Scalfari: “I partiti di oggi sono macchine di potere e clientele”. Oggi, cioè ieri. Oggi come ieri. E sempre i partiti, o i loro surrogati contemporanei, comitati d’affari dalla dubbia liceità, occupino lo Stato, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai e diversi grandi giornali senza alcun rossore in viso L’Italia è il Paese dell’allegria nell’illegalità. Delle mediocrità diffuse, sbandierate al pari di certi analfabetismi apodittici. Dei meno dotati da promuovere nella stanza dei bottoni purché telecomandabili.
“Non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare in quello attuale”. Lo disse Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite, constatati gli esiti di Tangentopoli. Vero, anche se il problema risiede altrove. E’ più profondo e arcaicamente moderno. Il nostro declino inizia – e si vivifica – con l’uccisione del merito. La piovra del malaffare si propaga, allunga i propri tentacoli, perché non trova opposizione (e oppositori) tra i guardiani del merito. E basta la pioggia di un inverno estivo perché si allaghi finanche un poliambulatorio inaugurato solo tre anni fa.