Fenomenologia del sindaco di Taranto. Di un perdente di successo, equilibrista nel trasformismo. Custode del ruolo (il suo) svilendo i ruoli. Altra cosa da Rinaldo Dragonera, protagonista della commedia musicale di Garinei e Giovannini
Non è mai stato realmente in campo il nostro “Rinaldo in campo”. A differenza di Rinaldo Dragonera, protagonista della commedia musicale di Garinei e Giovannini, il sindaco di Taranto non muta il proprio canovaccio comportamentale. Non diventa altro con le cure dell’amore. Fedele a se stesso, ego-riferito ed ego-differito in egual misura, ha trascinato la città in un imbuto politico. Relegandola, in questi ultimi anni, alla periferia delle idee. Nell’orizzonte ultimo dei sogni svaniti. La prima volta vinse contro una candidata improponibile; la seconda ebbe la meglio al cospetto di un avversario di sinistra che la destra scelse come capopopolo non avendo altri da offrire. In ambedue le occasioni i tarantini che si recarono a votare furono una minoranza degli aventi diritto, confermano la deriva – o l’ascesa – dei perdenti di successo nelle nostre ammaccate democrazie.
Trovare l’equilibrio nel trasformismo, il movimento (fittizio) nella staticità, il progetto tra le poltrone, è stato l’esercizio quotidiano del sindaco di Taranto. La sua preghiera laica per una comunità secolarizzata, religiosa senza l’esercizio (e il rito) della religiosità. Con-fratella nel ripudio della fratellanza. Non è solo politico il danno che Rinaldo in campo ha arrecato all’officina civica della locale municipalità. Le ferite maggiori inflitte al corpo sociale di una città stretta in un abbraccio equivoco tra tradizione e modernità, hanno riguardato la sua tenuta culturale. Una sorta di postura ideale in grado di riannodare i fili di un’identità ripudiata, obnubilata.
Melucci ha preferito l’opportunismo alla qualità, i profili social al profilo istituzionale. Alcuni assessori nominati ricordano la corte dei miracolati ai quali è stato offerto il miracolo della notorietà. Il sindaco che parla discretamente bene, che conosce l’inglese, si è affidato in talune circostanze a sgraziati replicanti – e usurpatori seriali – della grammatica italiana. Pur di conservare il ruolo, il suo, ha svilito i ruoli. Pur di continuare a farsi chiamare sindaco ha smesso di fare il sindaco. Da Rinaldo in campo a Rinaldo in Shampoo il passo è breve. “Una brutta giornata/Chiuso in casa a pensare/Una vita sprecata/Non c’è niente da fare/Non c’è via di scampo/Mah, quasi quasi mi faccio uno shampoo”, cantava Giorgio Gaber. Già: quasi quasi…