mercoledì 16 Ottobre 24

L’ultimo riformista

In questi giorni ricorrono i quarant’anni dalla scomparsa di Riccardo Lombardi, l’ingegnere del socialismo italiano. Le riforme di struttura, il rapporto con il Pci, il problema dell’alternativa. Profetiche le sue parole: “Al capitalismo può seguire il socialismo, ma può seguire anche la barbarie”

L’ideatore dell’espressione “Riforme di struttura” rappresenta una figura nodale per comprendere la complessa vicenda della sinistra italiana. Le sue evoluzioni. I successi conseguiti, le sconfitte patite. I colpevoli ritardi, accumulati dalla stessa, nel particolare appuntamento con la storia. Riccardo Lombardi nacque a Regalbuto (Enna) il 16 agosto del 1901, figlio di un capitano dei carabinieri che morì quando Riccardo aveva tre anni. Si laureò in ingegneria industriale al Politecnico di Milano. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione. Alla liberazione dai nazifascisti fu nominato dal CLNAI prefetto di Milano e, nel primo governo De Gasperi (dicembre 1945 – giugno 1946), ricoprì la carica di ministro dei Trasporti. Allo scioglimento del Partito d’Azione, nel 1947, aderì al Partito Socialista Italiano e – per ben due occasioni – ne diresse l’organo ufficiale: l’Avanti! Austero e nobile, dedito a considerare il socialismo una civiltà più che un partito organizzato attorno ad un nucleo forte di idee, Lombardi rappresentò l’ala più avanzata di una politica colta. Capace di analisi elaborate. A proprio agio con la raffinata elaborazione teoretica. Il suo riformismo rivoluzionario, miraggio per niente antinomico, mirava a realizzare le basi per una reale Alternativa Socialista nell’anchilosata società italiana del tempo. Quella del post boom economico. “La sinistra – dirà il leader politico, in quegli anni – deve superare, in egual misura, l’opzione comunista e quella socialdemocratica. Porsi al di là del compromesso storico e al di qua del pentapartito. In una sorta di terra di mezzo, insomma. Avviare un vasto programma riformatore in grado di precedere, e governare, l’iniquo sviluppo capitalistico”. Concetti, questi, ripresi anni dopo da Giorgio Amendola in uno scritto apparso su Rinascita, il settimanale del Partito Comunista Italiano.

“Il problema dell’alternativa – insiste Lombardi – si pone oggi con urgenza straordinaria e acquista anche credibilità, diversamente da ciò che avveniva negli anni scorsi, anche in tempi recentissimi, quando essa era considerata un po’ un lusso costoso, che probabilmente poteva essere risparmiato ad una società come quella italiana”. La nazionalizzazione dell’energia elettrica, lo studio relativo alla comunicazione di massa – e ai suo rapidi rivolgimenti – , la critica ai beni deperibili che ingolfano gli assetti produttivi nazionali, rendendo il Paese assai sensibile, se non schiavo, alle dinamiche internazionali e alle logiche della bilancia commerciale, l’utilizzo del tempo libero come prezioso prologo per un vasto programma di politica culturale, configurano una sorta di “Vangelo socialista” ante litteram. A tal proposito Lombardi ripeteva con una certa enfasi ammantata nel romanticismo, così consona al personaggio, come, compito di una politica socialista, fosse quello di ricercare “una società ricca perché diversamente ricca”. Il dirigente politico e lo studioso di fenomeni economici e sociali diventano un tutt’uno nella strenua ricerca dei ritardi (e dei possibili rimedi) che avviluppano il tempo vissuto. “La nuova società – dice – si dovrà costruire partendo faticosamente dal governo della sinistra; ma andare al governo non significa andare al potere (…)”. Il problema, se di problema può parlarsi, resta sempre lo stesso: come cambiare integralmente la società italiana, dal profondo, dal di dentro, senza smarrire una sensibilità alta verso il tema dei rapporti di produzione.

“Compito della sinistra, in una stagione segnata da crescenti disillusioni, è quello di guadagnare il consenso della maggior parte del ceto medio. Convogliare a sintesi elevata lo spirito che, questa specifica classe sociale, nutre verso le sbornie capitalistiche e monopolistiche, gli atti d’imperio del sistema bancario, le angherie che vedono protagonista lo stesso sistema statale. La questione non è quella di dare ai ceti medi, nella varietà della loro collocazione, la prospettiva del mantenimento dello status attuale, quanto quello di costruire una società dove abbiano una funzione diversa, dove non siano eliminati né dal lavoro né dall’attività produttiva, ma dove abbiano una funzione altra. Una società diversa dove si possa collocare, per la comunità stessa e individualmente, in un modo più produttivo la loro capacità creativa”. Non c’é sogno, approccio avveniristico nel teorema lombardiano. Anzi. Il suo peregrinare per il vasto campo delle idee, senza alcuna vanità ideologica, e velleitarismo personale, presentava un robusto metodo d’analisi. Una propensione al calcolo che non si esaurisse nel solo – e freddo – rapporto tra causa ed effetto. “Bisogna guardarsi dal cretinismo parlamentaristico – soleva ripetere – e, nondimeno, bisogna anche guardarsi dal cretinismo antiparlamentaristico (…)”.

Per il leader della sinistra socialista i partiti, al pari se non più della stessa società italiana, vanno riformati. Cambiati profondamente per non restare invischiati nelle sabbie mobili di una deriva etico-morale. “Il partito, e quello votato ad un socialismo liberale in special modo, deve articolare tutte le sue strutture in modo che esse siano aperte, non accentrate, autonome, dando un larghissimo spazio anche alla contestazione al suo interno. Altri partiti possono permettersi il lusso di non sbagliare mai; il Partito Socialista no”. Un partito inclusivo, quindi. Non demiurgo. Aperto ai contributi – e alle competenze – dell’associazionismo civico, dei comitati di quartieri, di quelli scolastici e sanitari. Sintesi avanzata e approdo per una sinistra extraparlamentare che, con la sua carica di novità, di energie non sempre ben equilibrate, va compresa, accompagnata lungo i binari della dialettica democratica. Se non la si vuol lasciare preda certa del terrorismo.

Nella società agognata da Lombardi, insomma, l’autogestione è risultato non derogabile. Il momento che deve prevalere non è quello del centralismo, ma il momento della democrazia e del decentramento. Per traguardare un obiettivo così importante, non si può prescindere da un vasto – e ambizioso – programma culturale. Da una stampa socialista che, attraverso Mondoperaio (la rivista fondata da Pietro Nenni), possa riunire il meglio dell’intellighenzia di sinistra. E spendersi sul piano dell’elaborazione di un progressismo liberale. Con un’intensità più o meno marcata, a secondo del momento storico vissuto. Tenendo sempre a mente la differenza che passa da una prassi riformista ad una riformatrice: con la prima cambi il sistema dal suo interno, gradualmente; con la seconda, invece, ti poni all’esterno del sistema stesso per una trasformazione più radicale. Memori dell’insegnamento che una sinistra al potere, al governo, non possa evidentemente cambiare tutto in un giorno. Ma può – e deve – cambiare le regole del gioco. Per spezzare la rete degli interessi parassitari, delle rendite di posizione, della produzione parassitaria. E liberare le forze della proposizione.

Quanto all’Europa, al suo processo di unificazione, alle proprie velleità di potenza internazionale, Lombardi si guarda bene dall’abbaiare alla luna, in uno strenuo tentativo di confondere la realtà con il suo potenziale inespresso. “Quello che manca – arguisce – è una comune opinione socialista sul destino dell’Europa. I vecchi europeisti hanno pensato che unificare l’Europa, in sé e per sé, fosse un fatto positivo, indipendentemente dal tipo di Europa che si formava, e che un’Europa unificata nel solo senso liberale, e cioè capitalistico, potesse offrire maggiori possibilità di benessere”. Niente di più sbagliato, com’è possibile desumere dalla stretta attualità di questi anni. Niente di più erroneo, se si pensa alla distanza ampia venutasi a creare tra aspettative nutrite e risultati conseguiti. Con la vecchia idea di Kissinger, uno spauracchio divenuto realtà come lo stesso Lombardi ammonisce, di mera diluizione dell’Europa nella comunità atlantica. “Al capitalismo può seguire il socialismo, ma può seguire anche la barbarie!”. Per questo la responsabilità dei socialisti di tutto il mondo è enorme, per cercare di padroneggiare la crisi senza affidarsi allo sviluppo naturale. Da qui, per limitarci al piccolo orticello del nostro paese, nasce il problema. Un problema epico, verrebbe da dire. Metapolitico. Di ordine trascendentale. Con la sola propensione al pensiero critico, che si tramuti in azione e pragmatismo quotidiano, in cultura riformista, e lettura non stereotipata dell’esistente, posta ad argine di una babele di voci stonate. Il compito di Riccardo Lombardi. E di una sinistra liberal-socialista.

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