sabato 27 Luglio 24

Neonati e rooming in: e se il problema fosse la troppa pressione sulle neo-mamme?

Il caso del neonato deceduto al Pertini di Roma accende il dibattito sulla pratica di accudire il bimbo in stanza dopo il parto; forse, però, la verità è che ad un’altra, ennesima mamma, è stato chiesto troppo

“Al Pertini l’hanno abbandonata, la mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio, ma è stata obbligata a prendersi cura del piccolo da subito. Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no”. È questa l’ultima, durissima accusa lanciata in un’intervista al Messaggero dal papà del neonato morto a Roma, soffocato dalla propria mamma che si era addormentata mentre lo allattava in ospedale.

Sulla donna, intanto, sono stati eseguiti esami tossicologici, che hanno dato esito negativo.

Verrebbe istintivamente da chiedersi perché un esame del genere, quasi che la stanchezza post partum, specie se esacerbata da nottate insonni, non sia sufficiente a spiegare perché una mamma sia “sprofondata in un sonno quasi innaturale, da cui il personale non riusciva a svegliarla” , come riportano alcuni giornali a nome dell’ospedale.

Nel frattempo, sui social, imperversa la querelle: il rooming in, ovvero tenere il neonato in stanza e prendersene cura subito dopo il parto, è una pratica corretta o sbagliata? Come spesso accade in questi casi, si tratta di un quesito posto nel modo errato.

Se è universalmente noto, infatti che il neonato e la mamma traggano reciproco beneficio dal contatto immediato dopo la nascita, è altrettanto vero che sulla figura materna la nostra società ha caricato e continua a caricare troppe responsabilità.    

Una neo mamma ha bisogno essenzialmente di tre cose: 1) sostegno 2) incoraggiamento 3) riposo.

Il sovraccarico ormonale, le paure e i timori di una donna che affronta una nuova tappa della sua vita creano una tempesta emozionale tale per cui l’ultima cosa di cui si ha bisogno, in quei momenti, è di dover mostrare a sè stesse e agli altri di essere all’altezza del ruolo.

Lava il bambino, cambialo, allattalo, adatta il tuo organismo a dormire all’improvviso poche ore a notte, senza dargli il tempo di riprendersi fisicamente e psicologicamente dopo un parto naturale o addirittura dopo un cesareo, a fronte del quale si resta anche a digiuno.

In quel momento c’è bisogno di un volto familiare che possa aiutarti: mamma, suocera, amica, sorella, cugina, cognata, come accadeva fino a qualche tempo fa. Una processione rigorosamente femminile, perché spesso i papà nel sacro mondo del puerperio non hanno accesso: perennemente cacciati dalle stanze, cominciano già dai primi istanti ad essere estromessi dalla cura del proprio figlio, come se non fosse affare che spetta a loro.

Molto più avanti, da questo punto di vista, altri Paesi europei che da anni praticano il rooming in con entrambi i genitori, permettendo alla coppia di adattarsi ai nuovi ritmi col supporto dell’èquipe preposta. Alcune strutture italiane, a dire il vero, hanno provato a seguire questa giusta scia.

Ci ha pensato però il Covid a porre fine a tutto: le nuove stringenti regole hanno impedito alle mamme di avere supporto da parenti e figure amiche.

Sicchè il rooming in, in alcuni ospedali, è rimasto in auge in questa forma monca che ne addossa quasi interamente il carico sulle spalle delle neo mamme, esponendo loro e i neonati alla casualitá : “Troverò personale disponibile oppure no?”, si chiede la futura mamma, o peggio: “Sarò in grado di prendermene cura da sola?”.

Piuttosto che l’applicazione di un unico protocollo, sarebbe stato preferibile lasciare alla mamma la possibilità di scegliere cosa fare.

Effettivamente, il prof. Antonio Lanzone, che dirige l’area medica del Policlinico Gemelli ha precisato che il rooming in prevede la presenza di un accompagnatore e non è obbligatorio.

Per quella che è stata la mia esperienza, anche a Taranto, in epoca Covid, oltre alla presenza di infermiere e ostetriche pronte a fornire il proprio aiuto, nonostante il gran numero di mamme e bimbi, era sempre possibile poter lasciare il bimbo alla cura del personale addetto per “riprendere fiato” in tutta sicurezza.

E invece, stando a quanto riferito dal papà del piccolo neonato deceduto al Pertini di Roma, questo non è avvenuto.

Gliel’hanno lasciato accanto ininterrottamente e con le norme Covid nessuno di noi ha potuto starle accanto. E lei, anche se ha 29 anni, era stanchissima, il piccolo era irrequieto, non l’hai mai fatta dormire. Così ha passato le nottate senza chiudere occhio”, si giustifica.

Come se fosse necessario.

Ora, senza entrare nel merito delle responsabilità di questo tristissimo caso, che saranno accertate dalla Procura competente, una cosa è certa: ad un’altra, ennesima mamma è stato chiesto troppo. Troppo per il suo fisico, per la sua psiche. Troppa pressione che fa sentire inadeguate, inadatte, quando si è solo umane.

Del resto, come disse l’infermiera che non riusciva ad attaccarmi la flebo prima del cesareo: “È colpa tua, sei troppo emozionata”.

Articoli Correlati