L’impianto del rione Salinella versa in uno stato di crescente degrado. Se questo è il prezzo da pagare per avere un nuovo stadio, pronto per i Giochi del Mediterraneo, più di qualcosa non torna. Nello sport, come nella vita, si vince tutti assieme
Più che un campo di gioco, lo Iacovone sembra essersi trasformato in un campo di patate. Buono per coltivare gli ortaggi in luogo di eventi sportivi professionistici. E pensare che sino a qualche anno fa, l’impianto del rione Salinella era noto in Italia per avere uno dei più bei green del calcio nostrano. Qualcuno obietterà che sono state le piogge dei giorni scorsi ad aver determinato le pessime condizioni del terreno di gioco. Anche no. E’ da diverso tempo, ad onor del vero, che l’impianto tarantino denota incuria e degrado. In campo e fuori. Dove si giocano le partite della locale squadra. E sugli spalti. Seggiolini divelti. Sporcizia accumulata. I colori rosso e blu scoloriti dai gradoni del settore gradinata. Se il prezzo da pagare per avere un nuovo stadio, pronto per i Giochi del Mediterraneo, è lasciar morire quello attuale qualcosa non torna. Più di qualcosa, a voler essere onesti. E’ come se a San Siro, stadio che si vorrebbe abbattere per sostituirlo con uno nuovo di zecca, le partite di Milan ed Inter si giocassero nell’abbandono più assoluto. Nella sciatteria più indolente. E’ chiaro che non può essere cosi. Che non funzionano in questo modo le cose. Taranto – e il suo popolo – meritano la serie A. Per storia. Rilevanza della città. Bacino d’utenza. Irriverenza del destino baro. Ma nella massima seria ci si arriva con un concorso di azioni. Tutti assieme. Società sportiva. Amministrazione comunale. Sistema dell’informazione. Lo stadio Erasmo Iacovone mi ricorda una vecchia vignetta di Altan, che recitava pressappoco cosi: “Mi vengono in mente pensieri che non condivido”.