I lavori già finanziati sugli invasi esistenti garantiranno 250 miliardi di litri in più all’anno, contro i 20 milioni del nuovo impianto. “Bisogna rivedere il progetto”
Il dissalatore sul fiume Tara, progettato per fornire acqua potabile al Salento, rischia di rivelarsi un’opera inutile e costosa. A dimostrarlo sono i numeri emersi dall’analisi delle risorse idriche disponibili e dei lavori già finanziati per potenziare gli invasi esistenti in Puglia e regioni limitrofe.
Secondo l’ultimo Rapporto Snpa pubblicato a luglio 2024, non si registrano variazioni significative nelle precipitazioni dal 1961 al 2023, sia a livello nazionale (-0,4%) che nel Sud Italia (-0,1%). Il problema della carenza idrica non è quindi legato ai cambiamenti climatici, quanto piuttosto alle limitazioni tecniche degli invasi esistenti che, nelle annate piovose, costringono a scaricare in mare miliardi di litri d’acqua.
I lavori già finanziati sulle principali dighe permetteranno di aumentare notevolmente la capacità di raccolta: 17 milioni di metri cubi in più per la diga di Conza, 32 milioni per il Pertusillo, 51 milioni per il Locone e ben 150 milioni per Monte Cotugno. A questi si aggiungeranno 80 milioni di metri cubi dalla traversa Sarmento, attivata a dicembre 2024, e 30 milioni dalla ricanalizzazione del Sauro.
“Stiamo parlando di cifre superiori di oltre 10 volte all’eventuale apporto del dissalatore sul Tara, quantificato in 20 milioni di metri cubi annui – dichiara Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – I lavori principali si concluderanno entro il 2025, un anno prima dell’entrata in funzione prevista per il dissalatore. È necessario riconsiderare i calcoli che hanno portato a preferire questa soluzione rispetto ad altre alternative, come la messa in funzione dell’invaso del Pappadai”.