I rischi derivanti da una sovraesposizione tecnologica sin dalla più tenera età sono evidenti, ma come ovviare ad un processo ormai irreversibile senza scadere nella retorica ipocrita? Ne parliamo con lo psicologo e psicoterapeuta Armando De Vincentiis
“Non ci sono più i bambini di una volta: ai miei tempi si giocava per strada, ora hanno tutti i tablet in mano”, afferma un papà prima di rituffarsi con la testa sul suo smartphone per ingannare l’attesa mentre aspetta che il figlio esca da scuola.
In effetti secondo il” XIV Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia – Tempi Digitali”, pubblicato ieri da Save The Children, il 78,3% dei bambini italiani di età compresa tra 11 e 13 anni utilizza internet tutti i giorni, soprattutto attraverso gli smartphone.
Ma non solo: dallo studio è emerso che il 43% dei bambini tra i 6 e 10 anni che vivono nel Sud Italia usa lo smartphone tutti i giorni; la Puglia è addirittura al quarto posto per percentuale di bambini che trascorrono più tempo davanti agli schermi di TV, tablet e smartphone.

Quasi conseguentemente, inoltre, la Puglia rientra tra le regioni con meno biblioteche, solo 4 o 5 per 100mila abitanti e con meno bambini che leggono libri: il 55-62% dei bambini pugliesi di età compresa tra 6 e 17 anni non ha l’abitudine di leggere nel tempo libero e solo all’11-13% dei bambini tra 11 e 15 mesi vengono letti libri a voce alta.
I dati più preoccupanti, tuttavia, riguardano il tempo di esposizione dei bambini ai dispositivi digitali.
Secondo la Società italiana di Pediatria, infatti, i bambini sotto i due anni di età non dovrebbero avere accesso a tablet e smartphone, dai 2 ai 5 anni possono utilizzarli per meno di un’ora al giorno e dai 5 agli 8 anni per meno di due ore.
Nella nostra regione, invece, la percentuale di bambini tra 11 e 15 mesi esposta per tre o più ore al giorno ai dispositivi digitali è del 3,6-5,1%, su una media nazionale del 2,9%.
Quali potrebbero essere le conseguenze di questa sovraesposizione tecnologica dell’infanzia pugliese? Ne abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Armando De Vincentiis.

Dottore, quali rischi a livello neurologico e psicologico in caso di esposizione prolungata ai dispositivi digitali da parte dei bambini?
Molte ricerche dimostrano effettivamente un aumento dell’ansia, dell’irritabilità e addirittura degli stati depressivi nei bambini che passano troppo tempo davanti agli schermi, siano essi della TV, del tablet o dello smartphone.
Quello che mi chiedo però è altro.
Ci spieghi
Quale dovrebbe essere l’impatto di queste ricerche che evidenziano la sovraesposizione dei bambini alla tecnologia? Stabilito che questo provoca disturbi psicologici, l’impatto dovrebbe essere, ovviamente, quello di ridurre questo contatto eccessivo.
Ma, mi chiedo, è fattibile una richiesta simile nella società di oggi e a chi si rivolge ? Alle scuole? Mi risulta che questo avvenga già, dal momento che non è permesso l’uso dello smartphone durante le lezioni.
Alle famiglie? Ma se i genitori sono i primi ad essere iperconnessi, vuoi per motivi di lavoro ma anche di svago. Per non parlare di tutti coloro che hanno necessità di avere qualche ora libera, non hanno nonni a cui affidare i nipoti o non possono permettersi babysitter e utilizzano la tecnologia come una sorta di badante per i propri figli.
Una descrizione perfettamente realistica di quello che accade al giorno d’oggi, in cui molte famiglie sono prive d’aiuto e cercano modi alternativi ed economici di far fronte a impegni di lavoro e famiglia senza impazzire. Ma come se ne esce?
Credo che sia difficile rendere questo processo reversibile, considerate le condizioni sociali attuali.
In un mondo ideale i genitori dovrebbero stare maggiormente accanto ai propri figli ed evitare che usino gli strumenti tecnologici come sostituti relazionali , ma nella realtà odierna questa situazione idilliaca è piuttosto improbabile.
Prendiamo certamente atto dell’aumento di problemi psicologici legati all’uso eccessivo dei dispositivi digitali, anche in ambito neurofisiologico, ma è anche importante capire che per mettere le famiglie nelle condizioni di invertire questo processo è necessario che si creino delle condizioni concrete, che permettano ai genitori di offrire alternative concrete ai propri figli.

Effettivamente, il quadro emerso dallo studio di Save The Children mostra in modo lampante che i bambini maggiormente iperconnessi si trovino al Sud, dove gli aiuti alle famiglie che lavorano sono cronicamente inferiori, la situazione economica e occupazionale, aggravata dall’inflazione e dal caro vita, non permette a tutti di iscrivere i bambini ad attività extrascolastiche come quelle sportive, musicali o artistiche, generalmente sempre a pagamento e scarsamente finanziate a livello pubblico.
Ma il discorso è più ampio: è, infatti, altrettanto fuori discussione che gli adulti di oggi siano forse più iperconnessi dei bambini. Uno studio in tal senso permetterebbe di evidenziare che l’ovvia conseguenza di una società intera che si relaziona ormai sempre più grazie alla tecnologia è che anche le fasce d’età inferiore comincino a seguire il modello proposto quotidianamente dagli adulti.
Come invogliare alla lettura o allo sport i nostri figli se, mentre li attendiamo, siamo immersi nel nostro smartphone?
Ci sarebbe poi da affrontare la questione del cyberbullismo e dei pericoli della rete: ma, anche qui, entra in gioco una campagna di sensibilizzazione che deve partire dalle famiglie e dalle scuole, come già avviene in molti casi, al fine di educare le nuove generazioni a non demonizzare gli strumenti tecnologici, bensì ad usarli correttamente, traendone vantaggio senza diventarne dipendenti. Un obiettivo sicuramente difficile e complesso da raggiungere ma non impossibile.
In definitiva, bando alla retorica e alle sterili colpevolizzazioni: il ritorno ad una società priva di tecnologia non è solo impossibile ma anche non auspicabile. La soluzione, infatti, potrebbe essere quella di trovare il giusto equilibrio, cominciando dalle famiglie, dalle scuole e anche grazie a servizi di sostegno ai nuclei familiari più numerosi e ad un’offerta pubblica maggiormente incisiva per bambini e ragazzi, che crei davvero un’alternativa concreta e migliore.