di Francesca Leoci
Dopo anni di battaglie, le donne italiane affrontano ancora profonde disparità e pericoli
Sono passati 78 anni dal 10 marzo 1946, data storica in cui le donne italiane hanno ottenuto il diritto di voto, segnando un passo fondamentale verso l’uguaglianza di genere. Da allora, il ruolo della donna ha subito una significativa evoluzione, distaccandosi progressivamente dall’immagine tradizionale di madre e casalinga per abbracciare una crescente indipendenza economica.
Nel 1977, questo percorso ha ricevuto un ulteriore impulso con l’introduzione della Legge n. 903, che ha sancito la parità di trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro, consolidando i principi già presenti nella Costituzione italiana. Nonostante questi progressi, oggi le donne continuano a combattere per il più basilare dei diritti: il diritto alla vita. La persistenza di atti di estrema violenza, inclusi gli omicidi, riflette una società ancora profondamente radicata in una cultura arcaica e patriarcale.
Nel 2023, i dati Istat hanno rilevato che su 69 persone uccise dal partner, 64 erano donne, rappresentando il 92,75% dei casi. Basti ricordare anche solo alcuni dei femminicidi che hanno provocato quello che viene definito “clamore mediatico”: Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, due giovani ragazze uccise dalla ferocia dei loro fidanzati (ed ex), rispettivamente l’11 novembre e il 27 maggio dello scorso anno.
La società è segnata ancora oggi da una profonda disparità di genere, dove le donne sono spesso viste come inferiori agli uomini sotto vari aspetti, inclusi quelli economici, culturali e religiosi. Una disparità radicata nel patriarcato (dal greco antico “dominio/supremazia del padre”), un sistema in cui l’autorità maschile domina su moglie e figlie, limitando la loro libertà e indipendenza. In questo contesto, le donne possono subire violenza psicologica e fisica, spesso senza riconoscerla fino a quando non è troppo tardi. La violenza può culminare in femminicidio, il più delle volte scatenato da gelosia o dalla non accettazione di una separazione da parte dell’uomo, che usa la forza per mantenere il controllo.
E la legge come reagisce? Nonostante l’introduzione di norme contro la violenza di genere, come il Codice Rosso del 2019, la risposta giudiziaria a questi crimini sembra talvolta insufficiente, con aguzzini che ricevono attenuanti e sconti di pena, mentre le vittime vengono spesso stigmatizzate. Di frequente, chi subisce violenze viene definita come “disinibita”, giustificando la cosiddetta “palpata breve” che da una seconda chance all’ennesimo molestatore.
È questo il quadro di una terribile piaga sociale che continua a causare sofferenze alle vittime, sia passate che presenti e future. Le vittime sono il risultato di una società che non protegge adeguatamente le loro vite, ma piuttosto minimizza e normalizza gli atti di violenza maschile, che invece dovrebbero essere eliminati fin dalle loro radici attraverso una profonda rivoluzione culturale che trasformi il ruolo della donna nella società.