di Vittorio Galigani
Da Di Maggio a Fasano. Da Giovanni Fico a “u cavaliere” Pignatelli “. A Donato Carelli a Gigi Blasi. Quel Taranto che non ci sarà più, perché la città non è più quella
Il Taranto che non ci sarà più. Quello che ha scritto anni di storia. Quello dei presidenti storici. Da Di Maggio a Fasano. Da Giovanni Fico a “u cavaliere” Pignatelli “. A Donato Carelli a Gigi Blasi. Quel Taranto che non ci sarà più, perché la città non è più quella. Per rendersene conto basta farsi due passi al “borgo”. Fior di commercianti costretti ad abbassare le serrande irrimediabilmente. Denaro che non circola più. Il siderurgico era considerato una ricchezza. Non lo è più da tempo immemorabile. La privatizzazione ha reso povera l’imprenditoria dell’indotto.
Direte cosa c’entra questo con il Taranto Calcio? E’ presto detto. La parte più calda del tifo (in tutti i sensi) nasceva, negli anni ’80, proprio all’interno dello stabilimento. Un “ricchezza” importante per i rossoblu. Spontanea. Di denaro e di presenze allo stadio. 8/9 mila abbonamenti a campionato. Sottoscritti con l’aiuto dell’azienda. Importi trattenuti mensilmente dalla busta paga. Una vera “manna” per il calcio cittadino. Una consuetudine interrotta dai licenziamenti, dalla Cassa Integrazione, dal degrado aziendale. La privatizzazione ha poi fatto il resto.
Quel calcio, dicevamo, non si potrà più vedere. Perché bandiere non ne esistono più. Che si chiamassero Iacovone o Romanzini o Mario Biondi. Se ai giovani di oggi parli di Napoleoni non sanno neppure chi è. Eppure ha portato la fascia di capitano e vive tuttora in città. Tutti “Giocatori” che con Maiellaro, Devitis e Riganò hanno scritto la storia del calcio rossoblu.
Ma erano altri tempi, altre generazioni, altri presidenti. Per le operazioni di calciomercato bastava una stretta di mani. I trasferimenti si pagavano spesso con gli assegni (anche postdatati). Alle volte non disdegnando le cambiali. Giovanni Fico passò la mano, ma trattenne per se Selvaggi e compagnia. Che andò poi a “vendersi” da solo. Le norme esistevano, ma con una maggiore elasticità.
Il “D-day” negativo, per il calcio tarantino cade agli inizi degli anni novanta. Guarda caso con la privatizzazione dell’Ilva. In crisi l’uno, in crisi l’altra. La famiglia Riva acquista l’impianto siderurgico. Un avvio caratterizzato da restrizioni delle maestranze e contenimento dei costi. Si scoprirà presto che la produzione dell’acciaio è la causa primaria di quel male incurabile che non risparmia neppure i bambini.
Donato Carelli, alla sua seconda esperienza da presidente, si “svena” economicamente per i colori rossoblu. Si candida al Senato confidando nel voto dei tifosi. Tra la sorpresa generale viene “trombato”. Succede anche che il Taranto, già retrocesso in serie C sul campo, viene radiato per delle inadempienze normative. Inizia così una lunga stagione di triste purgatorio. Tanti campionati disputati nella mediocrità dei dilettanti e poca serie C. La serie B diventa un lontano miraggio.
Al vertice si alternano presidenti dalle virtù variegate. Meteore che scompaiono nel breve volgere di una o due stagioni. L’unico in possesso della solidità necessaria è Gigi Blasi. Ha un progetto visionario. Sfiora in due occasioni la serie B. Il suo carattere forte e determinato non è però gradito alla parte più rumorosa del tifo. Per di più, per i benpensanti, ha origini paesane. Abdica dopo poco più di quattro anni. Ora è rimpianto da tutti. Chi gli succede, inizialmente acclamato dalla curva, fa più danni della grandine. Trascina il Taranto a un nuovo fallimento.
Nel 2012 si è ripartiti. Ripescati. Di nuovo dai dilettanti. Tra mille “problemi” iniziali. Causati anche dalla difficoltà di reperire l’indispensabile provvista, contanti, richiesta a “fondo perduto”. L’ennesima dimostrazione che la città non offre mai soluzioni concrete. Il titolo, per le fughe di tizio e caio, è poi passato da più mani. A volte inesperte, mai troppo sicure. Nei vari passaggi, i debiti pregressi (mai pagati alla scadenza) si sono implementati, accumulati. Il Covid ha fatto il resto. E’ stato come nascondere la polvere sotto il tappeto. Le spese le ha fatte la famiglia Giove che, mai realmente propensa all’abbandono, ha respinto più di una offerta. Sbagliando nel credere, in virtù dei tanti danni subiti, sull’aiuto politico delle Istituzioni territoriali. Una sensibilità peraltro mai dimostrata, per i colori rossoblu, da nessun sindaco. Con unica eccezione per Rossana Di Bello.
Il ritorno del vivere alla normalità. Il rispetto degli impegni imposto delle norme. Il controllo della Covisoc, hanno poi messo in ginocchio il club dal punto di vista finanziario. Tutto nel disinteresse più generale. A conferma che la città è più brava nel dire che nel fare. Ora, però, il percorso per uscire dalla pesante situazione debitoria si fatto è arduo. Se non impossibile.
E siamo arrivati ai giorni nostri. Tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine. La situazione è sfuggita di mano a tutti. Si è aperta la corsa alla richiesta di aiuti. Saltano tutti i programmi. Si coinvolgono nuovi soggetti. Anche i meno adatti. In questa fase entra in gioco Marcel Vulpis. Ciccioli e Campbell iniziano a farsi vedere in città. Gira voce che un Fondo di investimenti americano sarebbe interessato ad investire sul Taranto. La presentazione ufficiale viene fatta dal Sindaco Melucci. Azzaro, il suo vice, suona le campane a festa. In città si parla inglese. I “lecchini” saltano subito sul carro (che si rileverà dei perdenti). In due mesi ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori.
Una “pagliacciata” in bella sostanza. Apex/Campbell portassero i soldi se li hanno. Non usassero i comunicati stampa al pari di contabili di bonifici inesistenti. Il coinvolgimento, nella vicenda, del primo cittadino rimane una leggerezza comportamentale imperdonabile. Melucci ha il dovere di informare chi lo ha eletto. Qual è l’anello dell’ingranaggio che si è rotto. Sulle esternazioni di Azzaro caliamo un velo.
Venerdì scorso, soggetti originari del territorio, hanno lanciato messaggi. Anche questi con comunicato stampa (che stia diventando un vizio?). Tarantini ai quali il tempo e le esperienze non hanno, evidentemente, “imparato” che l’azionariato popolare, per come è inteso nel sistema calcio, non ha mai avuto successo. A meno che non si abbiano i titoli per quotare il club in Borsa. Come sono fallimentari le associazioni di più persone. All’uopo bisogna risalire al Taranto di Ruta e Bitetti. Erano più di quindici. Entrarono in difficoltà, dopo una sola stagione (peraltro vincente). Un fuggi, fuggi di diversi. Costretti, i rimasti, chiesero il sostegno di Giancarlo Cito (allora sindaco benvoluto). Sappiamo tutti come andò a finire.
La gestione di una società di calcio è sempre particolarmente onerosa. Ancor più a Taranto. Per le attuali condizioni di bilancio. Per la (in)disponibilità degli impianti. Per la gestione ordinaria. E non si esaurisce in una stagione. La durata media di un piano industriale è, al minimo, di cinque anni. Nel presente, a Taranto, in quanti lo vorrebbero garantire?
Che dire, infine, sulla “uscita” dell’avvocato Giovanni Di Stefano. Da tutti definito l’avvocato del diavolo. Ha dichiarato che desidera mettere in sicurezza economica la Società. Da benefattore, se abbiamo ben capito. Per fare un “regalo” a Giove. Bene, al Taranto è necessaria l’acquisizione di mezzi monetari importanti. Se ne ha la disponibilità lo dimostri. Materialmente. Vale, anche per lui, il discorso fatto a Campbell. Prima i soldi e poi i comunicati stampa.
Con un’amara considerazione. Personaggi discutibili ai quali è concesso il potere di firma. Bozze di fidejussioni anonime in attesa di approvazione. Apex che non paga tesserati e contributi. Gli stessi che ricorrono alla procedura di messa in mora. Le difficoltà di trovare una guida tecnica appropriata. Allenatori dal certificato di malattia facile. Preparatori dei portieri che disertano gli allenamenti. Zerbo padre che minaccia per poi ritrattare pubblicamente. Nuovi punti di penalizzazione in arrivo. Mark Campbell che anche lui sarà squalificato. Che Taranto sarà quello del futuro?