Secondo i consiglieri pugliesi di Azione è questo il senso delle recenti dichiarazioni rilasciate da Franco Bernabè, presidente del cda di Acciaierie d’Italia
“Le dichiarazioni di Bernabè dicono molto di più di quanto si legga. Dicono che il grande lavoro di Calenda è stato distrutto e che le fabbriche di Taranto e Genova sono morte. E quando la fabbrica sarà chiusa l’inquinamento s’impadronirà di Taranto per tanti decenni, mieterà nuove vittime e sarà molto peggio di Bagnoli a Napoli”.
A dichiararlo, in un comunicato congiunto, il consigliere e commissario regionale di Azione, Fabiano Amati, e i consiglieri regionali Sergio Clemente e Ruggiero Mennea, capogruppo.
“A meno che – spiegano gli esponenti pugliesi di Azione – non intervenga il Governo, e noi confidiamo su Raffaele Fitto, mettendo fine alla finzione che la fabbrica è degli indiani, ossia quelli stessi che invece hanno già scelto la Francia per i loro investimenti e produzione. Come si può pensare, infatti, di avere una fabbrica che non produce quasi più nulla, finanziata con centinaia di milioni solo dallo Stato con le tasse dei cittadini, però diretta dal socio ArcelorMittal con propri manager, completamente disinteressata a metterci anche solo un euro? Viene il sospetto che la fabbrica sia solo figurativamente riferibile al socio ArcelorMittal“.
“La nuova richiesta – si legge ancora nel comunicato – di finanziamento al socio-Stato di Acciaierie d’Italia, quindi alle tasche degli italiani, riguarda la sopravvivenza della fabbrica, come detto dal presidente Franco Bernabè. In altre parole si tratta di milioni di euro per pagare – in gran parte – la debitoria già maturata per forniture di energia e gas“.
Per Amati, Clemente e Mennea la situazione attuale della fabbrica siderurgica tarantina è “obiettivamente prossima alla morte“, con un’unica possibilità per evitarlo: “Sciogliere il rapporto con il socio ArcelorMittal, finanziare il rilancio produttivo con manager nominati dallo Stato – senza andarci troppo attorno ci sarebbe già lo stesso Bernabè – e poi valutare la cessione a un privato seriamente interessato, così da salvare Taranto dal grande rischio ambientale derivante dalla chiusura e l’Italia dalla clamorosa deriva produttiva nel settore dell’acciaio.”