La lotta alla disoccupazione femminile e al calo demografico non passa da misure efficaci: mentre il bonus asilo nido 2024 tarda ad essere erogato, le famiglie tarantine sono costrette ad anticipare una rata mensile piuttosto elevata, sottraendola ad un budget già ridotto all’osso da tutti i rincari del momento
Il Paese delle contraddizioni.
Così possiamo considerare l’Italia, in cui il Governo Meloni preme per porre un freno al calo demografico incentivando le famiglie a fare più figli attraverso alcuni bonus che, tuttavia, non sempre sortiscono l’effetto sperato.
Dopo le polemiche sulla decontribuzione per le sole donne assunte a tempo indeterminato e con almeno due figli, è il caso del bonus asilo nido 2024, anche quest’anno in ritardo.
Un contributo approvato in legge di bilancio per il quale, però, non c’è ancora alcuna circolare da parte dell’INPS, sembrerebbe per un ritardo dell’esecutivo nell’approvazione dei corrispondenti decreti attuativi: le famiglie che ne vogliono usufruire, pertanto, dovranno aspettare almeno marzo.
Una situazione che rischia di complicarsi in una città come la nostra, in cui le rette mensili da corrispondere per poter usufruire delle strutture comunali hanno subito un’impennata notevole rispetto agli anni passati.
E ricca di contraddizioni è anche Taranto, che secondo recenti dati Istat (ripresi da Il Sole 24 Ore nelle classifiche per la qualità della vita) ha un tasso di natalità più basso della media italiana e pugliese (6,3 nuovi nati per mille abitanti) e uno dei tassi di disoccupazione femminile maggiori d’Italia (solo il 31,4% delle tarantine di età compresa tra 20 e 64 anni lavora, su una media nazionale del 53%).
Numerosi studi, su cui ci siamo più volte soffermati con la nostra testata, hanno provato statisticamente che in una coppia con figli la parte che lascia il lavoro in assenza di aiuti concreti per la cura dei bambini è quasi sempre quella femminile: agevolare le famiglie all’accesso degli asili nido, pertanto, è da intendersi soprattutto in quest’ottica.
Ma basiamoci su un esempio concreto, incrociando i provvedimenti del’esecutivo nazionale con le misure dell’amministrazione locale: una famiglia con reddito compreso tra 7.501 euro e 12.500 euro (quindi piuttosto basso) si trova a dover pagare 270 euro di retta mensile per l’anno educativo 2023/2024 e quindi, al momento, deve anticipare per i mesi di gennaio, febbraio e molto probabilmente anche marzo la cifra di 810 euro, che saranno successivamente restituiti dall’INPS. Se in questa famiglia la donna ha un contratto a tempo determinato o ha un solo figlio, si trova esclusa anche dalla decontribuzione prevista.
Sull’aumento delle rette mensili degli asili nido comunali tarantini ne avevamo già parlato: se il sindaco Melucci parlava di un corrispondente aumento dell’offerta qualitativa e di servizi offerti ma anche di un allineamento alle altre città italiane, l’opposizione rispondeva con uno studio de Il Sole 24 Ore che evidenziava come in città quali “Catania le famiglie con valore Isee più bassi paghino una retta mensile di 42,15€, a Firenze 66 €, a Torino 55 €., a Palermo 16 €, a Cagliari 35 €, a Bari l’1% del valore Isee, a Venezia sono addirittura esenti. Quindi Taranto con 230 € mensili è diventata la città più cara d’Italia”.
Monta il malcontento tra i genitori: tanti coloro che lamentano di essere in difficoltà per arrivare a fine mese, tra spesa del carrello alle stelle, tasse comunali decisamente elevate, benzina ormai stabilmente fissa su quote piuttosto alte e mutui con tassi d’interesse in rialzo, a fronte di paghe in generale basse e non commisurate alle prestazioni lavorative come testimoniato soprattutto per il Mezzogiorno dal recente rapporto Svimez.
Se poi caliamo tutto questo in una città piagata da numerose vertenze occupazionali possiamo ben comprendere la protesta di chi fatica a far fonte a tutte le spese, con tutto il disagio psicologico e lo stress psico-fisico che ne deriva.
Sarebbe stato utile introdurre, fino all’effettiva fruizione del bonus 2024 da parte dell’INPS, una riduzione della retta mensile almeno per le prime fasce di reddito, come avvenuto nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2023.
Insomma, sia sul fronte nazionale che locale siamo ancora lontani dal mettere in campo misure efficaci per la lotta al calo demografico e alla disoccupazione femminile.