Considerazioni politicamente poco corrette a margine della visita tarantina del ministro Urso. Qualche cenno storico sull’ex Ilva, i traffici marittimi, la politica industriale espulsa dal corpo emaciato del nostro Paese da almeno trent’anni a questa parte. Se non è scomodo, e irriverente, il giornalismo diviene ufficio stampa sottopagato
I lavoratori diretti e quelli indiretti. Le imprese dell’indotto. La fabbrica da rendere eco-sostenibile. Il prestito-ponte di 300 milioni di euro e passa che, per essere elargito, non equipararsi ai negletti aiuti di Stato, aspetta il semaforo verde da parte dell’Europa. Gli emendamenti da approvare con il decreto legge sullo stabilimento in amministrazione straordinaria. La qualità dell’acciaio prodotto. La quantità dell’acciaio prodotto. Le commesse da far ripartire. Il dumping sociale che, specie nell’industria siderurgica, sta ridisegnando in profondità i processi economici su scala planetaria. L’aumento dei costi di gestione di materiali e servizi. L’economia del mare, e i nuovi fenomeni di pirateria, che inducono le compagnie a circumnavigare l’Africa più che attraversare lo stretto di Gibilterra.
Non serve il ministro Urso per far ripartire l’ex Ilva di Taranto. Darle una prospettiva. Indicare una via. Serve, semmai, un’onda d’Urso. Una terapia – lunga e prolungata – che tolga l’infiammazione sociale, guarisca le ferite produttive, lenisca un organismo comunitario sempre più emaciato. Servirebbe, insomma, un miracolo senza scomodare la politica industriale che non c’è. Non esiste più, nel nostro lamentoso e chiacchierone Paese, da almeno trent’anni a questa parte. Adolfo, il nome solo a pronunciarlo evoca sinistri ricordi di un secolo trucido e breve, non ce ne voglia. Crediamo che la partita in corso, nonostante il suo garbo, i suoi modi affettati, i suoi sorrisi melliflui, sia più grande di lui. Improba. Disperata e oscena. L’ex Ilva, la sua vicenda grottesca, il suo sviluppo dilettantesco, mi ricordano una vecchia massima di quel funambolo del pensiero che fu Albert Camus: “Posso averti ingannato, ma non ti ho mai tradito”. Ai tarantini invece, ieri come oggi, all’inganno non fa difetto il tradimento.