Taranto è opulenta, la più opulenta delle città del Mezzogiorno, ma non lo sa. Lo ignora assieme alla sua insulsa classe politica. Quasi due i miliardi di euro ricevuti in dote dallo Stato e dall’Europa. L’aforisma di Borges sui calvi e sulla loro strenua lotta per impossessarsi di un pettine
Taranto è ricca, tanto ricca, ma non lo sa. Lo ignorano le sue insulse classi dirigenti: di sinistra, di destra, la modestia è contagiosa. Lo dimentica una politica ancella di poteri altri. Taranto è più opulenta di qualsiasi altro capoluogo di provincia pugliese e dell’intero Mezzogiorno presi singolarmente. La città che fu di Archita è stazione appaltante per opere e interventi che, complessivamente, sfiorano i due miliardi di euro. Denaro pubblico, statale ed europeo, che mai si era visto a queste latitudini in una tale quantità. L’elenco è ampio e suggestivo: Giochi del Mediterraneo (300 milioni di euro); BRT – Bus Rapid Transit (320 milioni di euro); Cis – Contatto istituzionale di sviluppo (100 milioni di euro); Just Transition Fund (800 milioni di euro); Ospedale San Cataldo e Facoltà di Medicina (250 milioni di euro); Nuova Stazione delle Ferrovie dello Stato (30 milioni di euro); Aeroporto di Grottaglie (80 milioni di euro); Talsano-Avetrana (100 milioni di euro). Contemplando anche i lavori di dragaggio al Porto, siamo ben oltre i due miliardi di euro concretamente disponibili. All’incirca una manovra finanziaria di un Paese come Malta.
In qualsiasi altro luogo del mondo, qualsiasi ripetiamo, compirebbero salti di gioia per tanta grazia del Signore capitata a sorte. Si riunirebbero e farebbero festa tutto l’anno. Se effettivamente fossero spese queste risorse, se si riuscisse a spenderle bene, cambierebbe il senso di marcia di una città da sempre in bilico tra vorrei ma non posso. Intercapedine di chiacchiere a digiuno di fatti. Ma la ricchezza, una ricchezza che sia diversamente ricca, per dirla con le parole di Riccardo Lombardi, da sola non basta. Serve aggiungere alla stessa dell’altro. Istituzioni forti, portatrici di disegni e visioni strategiche. Maggioranze assembleari larghe (e coese). Corpi intermedi senza crisi di rappresentanza. Un mondo dell’imprenditoria meno ruffiano, celato sotto la gonna di una politica dirigista e poco diligente. Un modello dell’informazione più dignitoso che prezzolato. E, invece, continuiamo ad essere poveri pur essendo diventati ricchi. Poveri nella cultura. Poveri nel sapere. Poveri nei comportamenti medi posti in essere. Poveri di un’identità impoverita. Quasi due miliardi di euro in dote e non accorgersene. In perenne guerra tra loro, litigiosi ed invidiosi gli uni degli altri, i tarantini ricordano una vecchia massima di Borges. “Cos’è la vita, in ultimo? La contesa di due calvi per un pettine”.