di Francesca Leoci
Uno studio di Greenpeace rivela una diffusa contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane che interessa il 79% dei campioni analizzati. A Taranto livelli di sostanze chimiche pari allo zero. Uno studio condotto in California evidenzia possibili collegamenti tra l’esposizione agli PFAS nell’acqua potabile e un aumento del rischio di alcuni tumori infantili
L’acqua che quotidianamente utilizziamo per bere e cucinare, sebbene definita potabile, può portare sostanze chimiche potenzialmente dannose direttamente nel nostro corpo. In Italia, si registra una diffusa presenza di composti inquinanti nelle reti acquedottistiche: a confermarlo è stato uno studio indipendente condotto da Greenpeace Italia sullo stato della contaminazione da PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) nelle acque potabili italiane. Una delle più significative emergenze ambientali contemporanee, con implicazioni sanitarie sempre più evidenti.
Gli studi
A mostrare una preoccupante correlazione tra l’esposizione agli PFAS nell’acqua potabile e un aumento del rischio di alcuni tumori infantili, sono stati gli studi della Joe C. Wen School of Population & Public Health dell’Università della California. La ricerca americana, che ha coinvolto oltre 10.000 bambini (0-15 anni) tra il 2000 e il 2015, ha utilizzato modelli farmacocinetici avanzati per analizzare le concentrazioni di PFOS e PFOA nel siero materno.

I livelli rilevati variano da una concentrazione di base (5 ng/ml PFOS e 2 ng/ml PFOA, dove ng/ml indica nanogrammi per millilitro) fino a picchi di 22,89 ng/ml e 6,66 ng/ml rispettivamente, con associazioni all’insorgenza di gliomi non cistici, leucemia mieloide acuta e tumori di Wilms (noto anche come nefroblastoma).
PFOS e PFOA: cosa sono?
I PFOS e PFOA sono sostanze chimiche sintetiche appartenenti alla famiglia dei PFAS, create per le loro eccezionali proprietà di resistenza al calore, all’acqua e all’olio. Queste caratteristiche, che li rendono preziosi in ambito industriale – dai rivestimenti antiaderenti agli imballaggi, dai tessuti impermeabili ai cosmetici – sono le stesse che li trasformano in una minaccia per l’ambiente e la salute umana. Infatti, la loro estrema persistenza nell’ambiente e la capacità di bioaccumulo negli organismi viventi li rendono particolarmente pericolosi. Questo significa che una volta rilasciati nell’ambiente, vi rimangono per lunghissimo tempo e possono entrare nella catena alimentare.
La loro presenza nell’organismo umano è stata associata a diversi problemi di salute: possono avere effetti cancerogeni, interferire con il sistema endocrino, causare problemi al fegato, compromettere il sistema immunitario e interferire con lo sviluppo fetale. L’esposizione umana a queste sostanze avviene principalmente attraverso l’acqua contaminata, gli alimenti, la polvere domestica e l’uso diretto di prodotti che li contengono.
La mappa della contaminazione da PFAS in Italia
L’indagine di Greenpeace Italia, condotta tra settembre e ottobre 2024, offre uno spaccato allarmante della situazione nazionale. L’analisi ha interessato 260 campioni provenienti da 235 comuni italiani, ricercando la presenza di 58 molecole PFAS attraverso un laboratorio certificato. I risultati mostrano una contaminazione che coinvolge il 79% dei campioni analizzati.

Il PFOA, classificato come sostanza cancerogena, è risultato presente nel 47% dei campioni, con picchi particolarmente elevati in località come Bussoleno (TO) dove sono stati registrati 28,1 nanogrammi per litro. Il PFOS, classificato come possibile cancerogeno dall’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro, è stato rilevato nel 22% dei campioni, con concentrazioni significative soprattutto a Milano.
Particolarmente preoccupante è la presenza dell’acido trifluoroacetico (TFA), un composto a catena ultracorta rilevato nel 40% dei campioni, con concentrazioni che raggiungono i 539,4 ng/l a Castellazzo Bormida (AL).
Regioni e Comuni più colpiti
Concentrazione PFAS nelle Regioni
La diffusione geografica della contaminazione mostra una particolare criticità nel Centro-Nord Italia e in Sardegna. Le regioni più colpite sono Lombardia, Piemonte, Veneto (già riconosciuta come una delle aree più contaminate d’Europa), Emilia-Romagna e Toscana.
Il quadro a livello regionale rivela dati allarmanti: la Liguria mostra una contaminazione totale con 8 campioni positivi su 8, seguita dal Trentino Alto Adige (4 su 4) e dalla Valle d’Aosta (2 su 2). Anche il Veneto presenta una situazione critica con 19 campioni contaminati su 20, così come l’Emilia Romagna con 18 su 19. La Calabria registra 12 campioni positivi su 13, il Piemonte 26 su 29, la Sardegna 11 su 13, le Marche 10 su 12 e la Toscana 25 su 31. Sul versante opposto, le regioni meno interessate dal fenomeno sono l’Abruzzo, unica regione con meno della metà dei campioni positivi (3 su 8), la Sicilia (9 su 17) e la Puglia (7 su 13).

Concentrazione PFAS nei Comuni
Considerando il parametro “Somma di PFAS” (che include 24 molecole con limite massimo di 100 ng/l dal gennaio 2026), le concentrazioni più elevate sono state riscontrate ad Arezzo, Milano (Via Padova) e Perugia. Seguono Arzignano (VI), Comacchio (FE), Olbia (SS), Reggio Emilia, Ferrara, Vicenza, Tortona (AL), Bussoleno (TO), Padova, Monza, San Bonifacio (VR), Ceccano (FR) e Rapallo (GE).
Milano presenta una situazione particolarmente preoccupante: oltre al campione di Via Padova, in Via delle Forze Armate è stata rilevata una concentrazione di 58,6 ng/l, mentre a Villa Litta (zona Affori) si sono registrati 17,5 ng/l.

Concentrazione PFAS in Puglia
Allargando lo zoom sulla nostra Regione, invece, Andria emerge come la zona più contaminata con 17,4 nanogrammi per litro, seguita da Bari Nord con 8,2 ng/l e Foggia con 5,4 ng/l. Concentrazioni minori sono state rilevate a Nardò (LE) con 3,4 ng/l, Lecce con 2,9 ng/l e Barletta con 1,3 ng/l. Diverse aree della regione non hanno mostrato contaminazione rilevabile, tra cui Bari Sud, Casamassima (BA), Altamura (BA), Taranto, Grottaglie (TA), e infine Brindisi e Francavilla (BR), dove i valori sono risultati pari a zero nanogrammi per litro.

Il quadro normativo in Italia
Nella regolamentazione dei PFAS, l’Italia mostra un ritardo significativo rispetto ad altri paesi occidentali. Mentre gli Stati Uniti, attraverso l’Epa, stanno implementando normative sempre più stringenti, il nostro Paese dovrà attendere il 2026 per l’entrata in vigore della direttiva europea 2020/2184. Tuttavia, come evidenziato dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), i limiti previsti dalla normativa europea potrebbero risultare inadeguati alla luce delle più recenti evidenze scientifiche. Il confronto con gli standard internazionali è impietoso: il 41% dei campioni italiani supera i parametri danesi e il 22% i valori di riferimento statunitensi.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro nel 2023, ha classificato il PFOA come cancerogeno certo (gruppo 1) e del PFOS come possibile cancerogeno (gruppo 2B), evidenziando la necessità di interventi urgenti. Gli studi epidemiologici, nonostante alcune limitazioni metodologiche, hanno costantemente associato l’esposizione ai PFAS con tumori dei testicoli e dei reni, oltre a sporadiche correlazioni con il cancro al seno.
La mancanza in Italia di una legislazione che vieti esplicitamente l’uso e la produzione di PFAS, insieme all’assenza di limiti normativi nelle acque potabili, rappresenta un gap significativo nella gestione di questa emergenza ambientale e sanitaria. Come dimostrano altri paesi europei – tra cui Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e della regione belga delle Fiandre – interventi efficaci sono possibili e necessari per la tutela della salute pubblica.


