Lo stadio Italia, allo stato dell’arte,è ristrutturato solo parzialmente. Una tribuna da 1.500 sedute, al momento senza strutture separatorie, dove dovrebbero concentrarsi i tifosi rossoblu di tutte le estrazioni. Una curva suppletiva in pectore, con i lavori ancora da cominciare ed una consegna, a omologazione sottoscritta dalla apposita Commissione di vigilanza, tutta da definire
Meglio prevenire che curare. Una massima che, al calcio tarantino che riparte dall’anno zero, va a pennello. Va a pennello, soprattutto, a chi da quasi quarant’anni contesta il passaggio di Pietro Maiellaro al Bari ed oggi subisce, passivamente, la scelta, di matrice politica, di affidare i colori rossoblu a imprenditori, senza dubbio affidabili finanziariamente, ma baresi.
La storia del calcio cittadino, la conoscenza del territorio e dell’ambiente ci permettono di “puntare” su determinati concetti. Taranto si presenta ai nastri di partenza del campionato di Eccellenza regionale in colpevole ritardo con evidenti carenze dal punto di vista organizzativo, logistico, strutturale, sportivo e tecnico. La necessità più impellente, soprattutto in considerazione che il 31 agosto prossimo si dovrà giocare la prima di campionato, è quella di allestire una rosa di calciatori competitiva. Non necessariamente da primato, che la serie D si può raggiungere anche vincendo i play off o, comunque, la Coppa Italia di categoria.
Il Taranto riparte dall’anno zero, abbiamo detto. Sfugge ai più ed a chi è digiuno del territorio, il valore e l’importanza della maglia rossoblu per un ragazzo nato in riva ai due mari e comunque spesso calcisticamente cresciuto in quel settore giovanile. Ragazzi (calciatori) sparsi per la Regione a difesa di altri colori, proprio nel più importante campionato calcistico regionale. Sfuggono, a chi non ha dimestichezza con il territorio, i valori dei giovani, tarantini, che calpestano i campi del campionato di Eccellenza regionale con compagini diverse.
Da decenni sentiamo parlare di cuore rossoblu, di maglia sudata. Oggi nulla da rimproverare a Riccardo di Bari che sta facendo le sue scelte; che, senza dubbio, conosce il suo mestiere meglio di altri. I risultati, l’esperienza e la sensibilità affettiva ci permettono però di esprimere giudizi e concetti validi e rispondenti alla realtà calcistica del presente.
Negli ultimi anni è prevalsa, sul territorio, una mentalità esterofila nei giudizi sulle capacità tecniche dei singoli. Il giovane calciatore tarantino è stato, dopo il campionato di serie D, vinto nel 1995 (quello dei giovanissimi Triuzzi, Panarelli, Pernisco, Simonetti, Giudetti, Latartara, ecc.) sempre bistrattato e relegato in seconda linea. Anche allora, come ora, si ripartiva da zero, sulle ceneri del fallimento Carelli.
Parlavamo di cuore e di maglia sudata. Di amore per quei colori ed allora, vista la condizione attuale, quanti, meglio di Nicola Russo, Alessandro Gatto, Vincenzo Chiochia, S. Boccadamo, Pavone, Spataro, Pizzaleo, Marinelli, Mattia Napolitano (soltanto per fare degli esempi) potrebbero rappresentare, degnamente, la squadra di calcio cittadina. E ne abbiamo trascurati altri, altrettanto validi, ma comunque meritevoli di attenzione. Alcuni di loro sono anche “under”. Indispensabili per la categoria attuale.
Che poi uno “sprovveduto” abbia pensato bene di telefonare a qualcuno di quei ragazzi, per invitarlo ad un esame tecnico conoscitivo (un volgare provino), dimostra, una volta di più che il calcio, in mano a certe persone, non è più una cosa seria. Perché la classe non è acqua e non si compera a fiaschi. Per comprenderci: conoscenza del sistema e correttezza nei rapporti difficilmente sono nelle corde di chi, per abitudine, taglia a fette la mortadella. “Son tarantino e me ne vanto…” cantava già nel 1995 la curva nord dello Iacovone, perché chi andava in campo con la maglia rossoblu viveva della stessa passione e gioiva con la stessa intensità di chi gridava a perdifiato sugli spalti. Saremo mai compresi?
Sui problemi legati alla logistica ci sarebbero da “spendere” fiumi di inchiostro. Il Taranto necessita di un impianto in esclusiva per gli allenamenti che non riguarda soltanto l’utilizzo del manto erboso, ma una struttura con idonei locali magazzino, lavanderia, asciugatoio, sala medica, fisioterapia, ripostiglio per attrezzi da lavoro. A meno che non si voglia allestire una compagine di “giramondo”. L’appoggio, temporaneo, al campo di San Giorgio non è quindi risolutivo. Anzi. Poi, su chi ha rilasciato dichiarazioni, sulla disponibilità, durante il campionato, del campo B dello Iacovone, stendiamo un velo pietoso.
E poi, le gare casalinghe trasferite a Massafra per l’indisponibilità dello Iacovone. Lo stadio Italia, allo stato dell’arte, è ristrutturato solo parzialmente. Una tribuna da 1.500 sedute, al momento senza strutture separatorie, dove dovrebbero concentrarsi i tifosi rossoblu di tutte le estrazioni. Una curva suppletiva in pectore, con i lavori ancora da cominciare ed una consegna, a omologazione sottoscritta dall’apposita Commissione di vigilanza, tutta da definire. E con vari problemi, di Ordine Pubblico, tutti da risolvere.
A Massafra si dovrebbe infatti giocare, in alternanza, tutte le settimane. Anche di più, in occasione dei già preannunciati turni infrasettimanali di campionato, con un dispiego di personale, addetto al controllo, idoneo ed adeguato. Un impegno, non indifferente, anche per le Autorità preposte che dovranno assume decisioni ed accollarsi eventuali responsabilità. Inerenti al traffico, le vie di accesso e di esodo. I parcheggi (ce ne vogliono almeno due, per i tifosi di casa e per gli ospiti). Trascurando, al momento, l’organizzazione capillare, indispensabile, in occasione dei due derby (di andata e ritorno tra Taranto e Massafra). Che il problema sia stato sottovalutato?