Ha scelto di non scegliere, l’altro ieri, il consigliere comunale (e regionale) Vincenzo Di Gregorio. Non su aspetti marginali, ma sull’AIA relativa all’Ilva da impugnare. Questa è la politica che ci piace. Sicura. Decisionista
Lunga vita all’astensione. Alla decisione che non decide. Alla soluzione che non risolve e imbarazza. Dal latino abstinere, tenere lontano, girare alla larga, il voto di astensione è creatività senza talento. Genio mediterraneo fuoriuscito dalla propria lampada. Per lasciare ad altri l’onere della scelta, la responsabilità delle ore più buie. E consumare quel che Totò diceva a proposito del coraggio: “Ce l’ho, ma è la paura a fregarmi”. L’altro giorno, nel Consiglio comunale di Taranto, la maggioranza di centrosinistra è stata una e trina. Una polifonia di colori sbiaditi. A tratti grotteschi. C’è chi ha respinto la mozione dei Cinque stelle, che chiedeva al sindaco – e alla sua giunta – d’impugnare l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) sull’Ilva. Chi l’ha votata. E chi si è astenuto.
Il consigliere comunale (e regionale) Vincenzo Di Gregorio ha scelto quest’ultima opzione. Ha scelto che fossero gli altri a dover scegliere al posto suo. Su un tema tutt’altro che secondario e marginale. In grado di segnare in profondità l’intera legislatura. E riverberarsi sui rapporti, presenti e futuri, tra i partiti che compongono la coalizione di governo. Perchè gli elettori dovrebbero continuare ad eleggere propri rappresentanti nelle Istituzioni se questi, poi, si ritirano sull’Aventino nei momenti che contano? Nelle occasioni dirimenti?
Nel rischio, astieniti. Perché così risparmi gli altri, ma risparmi soprattutto te stesso. “Beato l’uomo il quale, non avendo nulla da dire, si astiene dal dimostrare con le parole l’evidenza del fatto”. Lo affermava, George Eliot. Il poeta che scelse le parole come forma alta di ribellione. All’indifferenza. All’astensione. Presupposto di ogni incompiutezza.


