Natalia Aspesi si racconta al Foglio. In un’intervista stronza e divertente. Lilli Gruber? “Nella sua trasmissione non si capisce niente”. Marco Travaglio? “E’ un killer-orrido”. Il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte? “Mi spaventa con il suo populismo gentile”. Perchè il giornalismo oggi è diventato noioso? “Perché non sa essere più cattivo; e si limita, soltanto, a pettinare le parole”
Un concentrato d’intelligenza luciferina. L’ultima delle cattive. L’esercizio giornalistico come critica maligna. L’intervista a Natalia Aspesi, realizzata l’altro ieri da Salvatore Merlo su Il Foglio, è balsamo per i nostri pensieri. Sconfinamento nel turpiloquio che non offende, non confonde, ma intinge la penna nell’inchiostro che macchia le nostre (cattive) coscienze. Il parlare diretto: divertito e divertente. Per le anime belle. Per gli adulatori del politicamente corretto, una sorta di peste bubbonica dei nostri tempi. La grande giornalista di Repubblica ne ha per tutti: “Lilli Gruber? Nella sua trasmissione non si capisce niente. Mica è informazione quella. E’ una sceneggiata con il tonto-vittima, Bocchino, e con il killer-orrido, che è Travaglio. Appena la vedo spengo la televisione”. Sulle magnifiche e progressive sorti della sinistra, la critica cinematografica più stronza d’Italia è lapidaria: “La sinistra in Italia è morta. Elly Schlein è circondata da Conte, che mi fa spavento con il suo populismo gentile. E da quei due, i fratelli De Rege dello sketch di Walter Chari: Bonelli e Fratoianni. Stanno sempre insieme, dicono le stesse cose, non aumentano di una riga. Due che si passano la parola e non succede mai niente”.
Per lei, firma storica di Repubblica (e del suo inserto settimanale, “Il Venerdì”), il fatto che il giornale possa essere venduto è circostanza del tutto ininfluente: ”Che lo vendessero pure a quel greco di cui si parla o a qualche scemo fascista amico della Meloni. John Elkann ha preso Repubblica perché c’era, ma non gli interessa”. Cosa avrebbe detto Eugenio Scalfari, se fosse ancora tra noi? “Non ne ho la più pallida idea, l’ho frequentato poco. Lo stimavo, certo, ma non mi stava simpaticissimo Lui faceva un giornale vivace, libertino. Libertino come lui”. E Montanelli, com’era? “Un fascista vero, non di facciata. Poi, alla fine dei suoi anni, è diventato simpatico”. Enzo Biagi? “Bravo, ma pesante. Faceva sempre il buono, il giusto. Non ne potevo più”. Giorgio Bocca, invece? “Una volta mi disse: ‘Perché non ti metti le gonne lunghe fino ai piedi, come quelle di mia moglie? Io portavo gli hot pants. Gli risposi: ‘Perché no, mi piacciono i pantaloncini’. E lui rimase zitto”.
Ma, per Natalia Aspesi, cosa significa saper scrivere bene? “Scrive bene chi cura la punteggiatura e non trascura la cattiveria. Io sono diventata qualcuno perché facevo sorridere, e facevo anche un po’ di paura. Oggi, invece, non si può più essere cattivi, devi sempre pettinare le parole. La cattiveria è una forma d’intelligenza. Peccato non sia più permessa. Per questo il giornalismo è divenuto noioso”. Semplicemente Natalia Aspesi.


