di Pietro Lospinuso
Altro che “ministro della deindustrializzazione”: Adolfo Urso è l’unico che in questi anni ha avuto il coraggio di mettere ordine, chiarezza e serietà nella gestione delle politiche industriali
L’articolo di Venosi evidentemente ignora — o finge di ignorare — che la misura “Transizione 5.0” nasce dalla riprogrammazione del PNRR approvata nel novembre 2023, con 6,3 miliardi da spendere entro il 31 dicembre 2025 secondo regole imposte da Bruxelles e con vincoli che escludevano interi comparti energivori (siderurgia, ceramica, carta, vetro, cemento, chimica). Altro che “piano nazionale libero”: le condizioni le ha scritte l’Unione europea, non il ministro Urso.
Fin dall’inizio, il MIMIT ha negoziato con la Commissione UE per rendere la misura più aderente alle esigenze del sistema produttivo italiano e – fatti alla mano – ci è riuscito: le richieste delle imprese, da giugno, hanno superato i 300 milioni di euro al mese, a dimostrazione che il Piano, una volta semplificato, funziona eccome.
E qui sta l’ipocrisia di certa opposizione e di certa stampa “indignata a comando”:
gli stessi che per mesi hanno definito Transizione 5.0 un “flop” — Confindustria in testa, con Orsini, Nocivelli, Fontana e Beltrame che parlavano di “tiraggio scarso”, di “misura inutile”, di “solo 2 miliardi utilizzabili” — oggi fingono stupore perché le risorse non bastano più.
È bene ricordarlo:
• Fu Confindustria, con dichiarazioni pubbliche e documentate, a chiedere di spostare parte dei fondi verso altri strumenti;
• Fu il Governo, proprio per evitare di perdere risorse europee, a recepire quella richiesta e rimodulare il PNRR;
• Fu Urso, con lucidità e realismo, ad avvertire che, semplificata la misura, la risposta delle imprese sarebbe arrivata.
E così è stato. Oggi si grida allo “scandalo” perché la misura ha avuto troppo successo: una contraddizione plateale che smaschera chi per mesi ha remato contro solo per screditare il Governo Meloni.
Chi parla di “colpo di scena” o di “rubinetti chiusi” mente o disinforma: la rimodulazione è stata annunciata da marzo, discussa con la Commissione europea, comunicata in Parlamento e ai tavoli con le associazioni datoriali. Non c’è stato nessun blitz, ma solo trasparenza e responsabilità amministrativa. Se oggi qualcuno scopre che Transizione 5.0 “funziona”, dovrebbe avere l’onestà di ammettere che Urso aveva visto giusto e che, finalmente, l’Italia industriale torna a camminare sulle proprie gambe, non sulle previsioni errate dei soliti “esperti da salotto”.
Dunque basta con le fake news e con la narrazione del disastro:
• le domande hanno superato i fondi perché le imprese italiane hanno creduto nel Piano;
• i fondi sono stati rimodulati su richiesta delle stesse categorie produttive che ora gridano al tradimento;
• e chi oggi parla di “avversione per le rinnovabili” dimentica che il Piano era vincolato proprio al REPowerEU, cioè al capitolo verde imposto da Bruxelles.
Urso non ha tagliato fondi alle imprese: ha difeso le imprese da un’ennesima illusione costruita su numeri sbagliati.
Ha scelto il realismo economico contro la propaganda industriale. Chi oggi lo attacca, ieri dichiarava che Transizione 5.0 non sarebbe mai partita.
Oggi, davanti ai risultati, non sa più che dire. In sintesi:
Il Governo Meloni non smantella la politica industriale, la rende finalmente seria, selettiva e sostenibile.
Meglio un ministro che corregge gli errori e difende la credibilità dell’Italia a Bruxelles, che un’intera classe dirigente che per anni ha sprecato fondi europei e prodotto solo cattedrali nel deserto.


