Colei che inflaziona il linguaggio resta, stranamente, muta sulla vertenza che riguarda la più grande fabbrica italiana. L’azienda siderurgica emblema di una “questione meridionale” lungi dall’essere risolta. CosmoPolis aveva visto giusto
Meloni parla di tutto, conosce le lingue. E’ un premier prolisso. Parolaio. Inflaziona il linguaggio con la sua prosodia romanesca. Interviene sulla casa nel bosco, sui cadetti di Modena desiderosi di conoscere la filosofia, sul Ponte in Sicilia. Arriva persino ad interrogarsi sul sesso degli angeli, disputa teologica vecchia come la storia del mondo. Ma non dice mezza parola, che sia mezza, sull’Ilva: la più grande industria italiana. E’ come se, in passato, i presidenti del Consiglio si fossero girati dall’altra parte rispetto a vertenze che potevano interessare la Fiat o Alitalia. Al dramma di migliaia di lavoratori sottoposti a licenziamenti collettivi. A scioperi che bloccano e paralizzano intere comunità. Alla caduta negli inferi di quel che resta della manifattura italiana.
Meloni, con la sua improvvisa afonia, mette in difficoltà soprattutto i suoi referenti sul territorio. Gli sgomenti Fratelli e Sorelle d’Italia. E un centrodestra che, complessivamente, in Puglia vive di sole comparsate. Relega, Meloni, questo lembo di Mezzogiorno a Sud di un Sud ulteriore. Sempre più giù nell’irrisolta “questione meridionale”. Noi di CosmoPolis che per primi invitammo l’inquilina di Palazzo Chigi a farsi un giro da queste parti, proposito che adesso tutti replicano, vedemmo giusto. Urso non è del mestiere, il resto del Governo non ci capisce granché, non resta che lei. Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre. Siamo tutti berlinesi. Pardon, tarantini. Kennedy non è Trump, signora Meloni, ce ne rendiamo conto, ma se lei volesse citarlo nessuno avrebbe qualcosa da ridire.


