di Rosa Surico
Storia di una donna, nata uomo, che decise di non dare mai le “spalle a questo mondo”
Se nel recente romanzo, già pluripremiato, della scrittrice napoletana Wanda Marasco, “Di spalle a questo mondo”, il protagonista arriva ad avere un atteggiamento di distacco, rifiuto, rassegnazione, disillusione, impotenza verso le ingiustizie della società e i suoi problemi, ed è costretto poi a scegliere l’ isolamento, il Femminiello si è posto in maniera nettamente diversa, contrapposta.
All’ anagrafe Carmelo Cosma, capelli biondo platino, raccolti in un piccolo chignon. É un personaggio reale e si è fatto conoscere dal mondo, non voltando le spalle, nonostante la disperazione di certi momenti, ma guardandolo dritto negli occhi e con il sorriso delle sue labbra carnose tinte di rosso.
Nella Napoli padrona le cui tracce rischiano di essere cancellate – per citare uno dei testi di Federico Salvatore – tra i murales di San Gennaro, Sophia Loren, Totò, Pino Daniele, Massimo Troisi, James Senese ecc., si può trovare anche quello dedicato alla Tarantina, donna nata uomo, ad Avetrana nel 1936 e sin da subito, già da 9 anni, rinnegata per le sue movenze e attitudini eccessivamente femminili. Sopravvisse per strada fino al tentativo di suicidio. Si trasferì a Taranto, che invece a differenza della Partenopea, spesso le accantona le tracce della città padrona che fu. Napoli e Taranto si intrecciano non solo per il racconto di personalità che le hanno attraversate entrambe, per un motivo o per un altro, ma anche per la potente somiglianza dei loro centri storici. Nella città dei due mari, conobbe un marinaio che la spinse a cercare fortuna nei Quartieri Spagnoli della metropoli campana.
Napoli divenne per lei terra madre che la accolse e la partorì a nuova vita. Partenope, come esempio di inclusione sociale già nei primi anni ’50.
Fu adottata a 11 anni da una prostituta che le diede lavoro, vitto e alloggio.
Inizia così ufficialmente,la sua vita da Femminiello, nella Napoli ancora distrutta dalla guerra.
A 13 anni parte per Roma diventando famosa sia qui che all’estero. La sua “dolce vita romana” le permetterà di conoscere il regista Fellini, Anita Ekberg, Brigitte Bardot, gli scrittori Alberto Moravia e Pierpaolo Pasolini. Con lo scrittore Goffredo Parise invece, instaurerà un rapporto particolare, di amicizia ma sarà anche una figura paterna di riferimento. Ritornò dopo anni a Napoli, dove ancora vive nella stessa casa che l’ aveva accolta da bambina, un basso, anche noto con il termine napoletano di ‘o vascio, ossia una piccola abitazione di uno o due vani posta al piano terra, con accesso diretto sulla strada. La sua vita è stata però sempre molto travagliata.
Ma chi è la figura del Femminiello a Napoli? È un termine complesso che affonda le radici nel simbolismo colorito della cultura napoletana. É una figura amata, socialmente integrata. É un amico di buon umore che porta fortuna alle famiglie. Non nell’ accezione negativa e offensiva cucita malamente addosso successivamente dalla globalizzazione e dall’evoluzione dei concetti di genere o da chi ne ignora il valore culturale.
É il “terzo sesso” o dualità tra sacralità e folklore.
É profondamente rispettata nella società napoletana ed esistono testimonianze antiche sin dal XVI secolo. Viene associata a buona sorte e ritualità come la “Figliata” e la “Tombola” o la “Juta dei Femminielli” che vanno in pellegrinaggio al Santuario di Montevergine(Avellino) ogni 2 di febbraio.
Il rito di fecondità della Figliata, rappresentato nella Napoli Velata di Ozpetek, simula invece il parto del Femminiello. É anche la persona a cui si affida per pochi istanti il nascituro perché trasmette le sue “buone energie”.
Nella tombola, versione “scostumata”, il femminiello porta fortuna estraendo i numeri dal Panaro e rivestendo per l’ occasione il ruolo di cantastorie sopra le righe.
I Femminielli ebbero un ruolo attivo, decisivo durante le Quattro Giornate di Napoli dal 27 al 30 settembre 1943. Combatterono in prima linea contro i nazifascisti a fianco dei partigiani. Il loro valoroso contributo storico, dimenticato per anni è stato poi celebrato, grazie anche a degli studi accademici, con targhe e iniziative che hanno omaggiato la loro valenza sociale e umana.
La loro partecipazione fu un atto di rivalsa e resistenza alle oppressioni essendo loro stessi, già vittime di ingiustizie.
Nei Quartieri Spagnoli, ancora oggi, la Tarantina, con l’ esperienza e la saggezza dei suoi quasi 90 anni che compirà il prossimo 25 marzo, è simbolo di resilienza, ribellione e riscatto ad una vita non facile sin da subito. La Tarantina come spesso ha affermato, non si identifica, “non è gay, né transgender, è un Femminiello e basta”.
Una storia da ultima, di povertà, di fragilità, abbandono, solitudine, violenza, dolore ma anche accettazione piena della vita stessa, attaccamento all’ esistenza umana nonostante le avversità. Di ingiustizia ma non di rassegnazione. Arrivata anche a teatro.
Non di spalle a questo mondo. Per dirla sempre con il messaggio della Marasco nel suo romanzo di tutt’ altra storia, esempio di consapevolezza che spetta ad ogni essere umano: nascere e incarnare il proprio dramma. “Non si guarisce dal male, si impara a starci dentro.” Con coraggio, per la Tarantina.


