di Rosa Elenia Stravato
Tra tradizione e innovazione: il teatro degli interi di De Filippo è la trasposizione della cultura partenopea in tutte le sue sfaccettature
Eduardo De Filippo, figura cardine del teatro italiano del Novecento, rappresenta un punto di congiunzione essenziale tra la tradizione scenica partenopea e le istanze più moderne della drammaturgia europea. Attore, regista, autore e intellettuale, egli seppe imporsi come voce peculiare e autorevole nel panorama culturale del suo tempo, coniugando l’eredità popolare della scena napoletana con la complessità psicologica e sociale tipica della modernità. La sua opera teatrale, lungi dall’essere mero prodotto di folclore, è un affresco critico della società italiana, nel quale il microcosmo domestico e il quotidiano diventano strumenti raffinati di indagine filosofica e antropologica. È in quest’ottica che la cucina — e, più specificamente, la cucina napoletana — assume nelle sue commedie un ruolo di primaria importanza, trascendendo la funzione meramente scenografica per farsi fulcro simbolico, metonimia di storia, identità e conflitto.
La presenza del cibo nelle opere eduardiane non è mai casuale né decorativa. Essa entra in scena quale elemento drammatico, in grado di svelare tensioni familiari, legami affettivi, disparità sociali e desideri inconfessabili. Eduardo percepisce la cucina come luogo dell’intimità domestica, spazio privilegiato per l’analisi della convivenza e delle dinamiche interpersonali: attorno alla tavola si costruiscono alleanze, si scatenano liti, si misurano speranze e frustrazioni. Nella Napoli del suo teatro, la preparazione di un piatto non è soltanto gesto quotidiano, ma atto rituale che conserva la memoria collettiva e riproduce la cultura locale. In tal senso, l’alimento napoletano — il ragù, la pasta, il pesce del Golfo, il caffè — si fa portatore di significati che travalicano il mero gusto, diventando vettore di identità. Si pensi, ad esempio, al ragù, pietanza che ricorre frequentemente quale simbolo della domenica, della famiglia riunita e della ritualità domestica. Nella drammaturgia eduardiana, esso rappresenta la pars costruens del nucleo familiare: tramite la sua lenta preparazione emerge una metafora della perseveranza, della cura, della continuità. Il suo aroma, percepibile anche senza essere realmente cucinato sulla scena, è veicolo di memorie affettive e testimonianza di una Napoli che resiste alle avversità sociali ed economiche. Eduardo utilizza questo cibo come strumento per richiamare un immaginario condiviso, riconoscibile dal pubblico e, al tempo stesso, ricco di implicazioni sociali. Non meno significativa è l’insistenza sul caffè, vero e proprio rito urbano e familiare nella tradizione partenopea. In molte sue commedie, il caffè compare quale occasione di incontro, conversazione, persino scontro. La ritualità del caffè — preparato con lentezza, servito con cura, assaporato con consapevolezza — diventa metafora dell’arte di vivere, della sospensione del tempo e della ricerca di un equilibrio interiore, ma anche della capacità di confronto civile. Nella Napoli eduardiana, il caffè non è mai un semplice stimolante: è un’istituzione sociale, segno di ospitalità e di rispetto. La cucina si configura inoltre come luogo di conflitto sociale e familiare. In un contesto storico segnato da precarietà economica, la mancanza di cibo e la gestione delle poche risorse diventano elementi drammatici. I personaggi discutono di spese, razionano gli ingredienti, trasformano la cucina in campo di battaglia. Le differenze di classe, spesso evidenziate dal modo in cui il cibo viene gestito o consumato, mettono a nudo la crisi della famiglia patriarcale e della società borghese. Eduardo, con la sua ironia sottile, mostra come l’alimentazione diventi specchio delle condizioni economiche e della dignità personale; la cucina può essere simbolo di abbondanza o di mancanza, di sogno o di frustrazione. Infine, la cucina napoletana si presenta nel teatro di Eduardo come ponte tra pubblico e privato.
L’intimità culinaria si apre alla condivisione, diventando esperienza collettiva. Lo spettatore non è mero osservatore, ma riconosce nella scena una parte di sé: odori, gesti, sapori appartengono alla sfera universale dell’esperienza umana. In questo modo, Eduardo riesce a trasformare il quotidiano in arte, trascendendo la realtà e restituendola sublimata attraverso il linguaggio teatrale.
Dunque, la cucina napoletana nelle sue commedie rappresenta un elemento cardinale dell’universo eduardiano. Essa non è soltanto rappresentazione folcloristica o pittoresca, bensì strumento narrativo e simbolico, in grado di interpretare e raccontare la società napoletana nelle sue contraddizioni e nella sua ricchezza culturale. Attraverso il cibo, Eduardo mette in scena il rapporto tra individuo e comunità, tra privato e pubblico, tra povertà e dignità, elevando la quotidianità a materia poetica. È proprio in questa capacità di trasformare la cucina in linguaggio teatrale che risiede una delle espressioni più profonde e originali della sua arte, nonché una delle ragioni della sua perenne attualità.


