di Rosa Elenia Stravato
Dopo l’emendamento che limita l’educazione sessuale, il dibattito si riaccende. In un Paese che ancora arrossisce, parlare di corpi e rispetto è una sfida di civiltà
Che cos’è la scuola? Un deposito dove lasciare per qualche ora i nostri figli o il luogo in cui essi acquisiscono gli strumenti per leggere, interpretare e agire nel mondo? Domanda antica, ma oggi più urgente che mai. Perché se la scuola ha davvero il compito di formare cittadini consapevoli, allora deve avere il coraggio di affrontare anche i temi più scomodi, quelli che spesso fanno arrossire gli adulti prima ancora dei ragazzi. Parliamo di educazione sessuale.
Negli ultimi giorni il dibattito è tornato a farsi largo perché la Commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento che vieta l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, limitandone la possibilità alle scuole superiori e solo previo consenso scritto dei genitori. La misura, inserita nel disegno di legge presentato dal governo, ha scatenato un aspro confronto politico tra maggioranza e opposizione. Nel nostro Paese, a differenza di molti altri europei, non esiste ancora una legge nazionale che renda obbligatoria l’educazione sessuale nelle scuole. Esistono linee guida, progetti locali, sperimentazioni e iniziative delle singole scuole o regioni, ma nessun programma uniforme che garantisca a tutti gli studenti le stesse opportunità di informazione e crescita. Le uniche norme di riferimento si trovano nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo e nell’Educazione civica, che dal 2020 include anche i temi legati alla salute e al rispetto della persona. Tuttavia, la sessualità resta spesso un argomento sfiorato, affidato alla sensibilità dei docenti o a interventi esterni, talvolta episodici. Chi si oppone all’introduzione strutturale dell’educazione sessuale parla di invasione nel campo della famiglia. Ma siamo davvero certi che le famiglie italiane abbiano tutte quante gli strumenti per affrontare un argomento che –
diciamolo senza fronzoli- fino ad un decennio fa era un vero e proprio tabù?
Per alcuni “L’educazione ai sentimenti e al corpo è affare privato”; si ha paura che affrontare temi come l’identità di genere, l’orientamento sessuale o la contraccezione significhi “indottrinare” i ragazzi o minare i valori trasmessi a casa. C’è anche chi teme che i bambini “non siano pronti”, dimenticando che la scuola ha gli strumenti per affrontare ogni argomento in modo graduale e adeguato all’età. Dall’altra parte, insegnanti, psicologi e medici insistono: non parlare di sessualità non la fa sparire, la lascia solo nelle mani di internet. In un’epoca in cui i ragazzi ricevono la loro prima “lezione” dal web o dai social, l’educazione sessuale diventa una questione di salute pubblica e di cittadinanza consapevole. Significa parlare di rispetto, consenso, affettività, ma anche di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, gravidanze indesiderate, violenze di genere e stereotipi culturali. Un’educazione sessuale ben fatta non “corrompe”, ma protegge. Va detto che, è evidente come questo compito debba necessariamente strutturarsi su un’adeguata formazione e con il supporto sapiente di specialisti del settore. Tra divieti, paure e pregiudizi, l’Italia resta in balia dei propri tabù. Formare cittadini consapevoli significa soprattutto insegnare il rispetto di sé e degli altri. La Fondazione Giulia Cecchettin- a tal proposito- ha sottolineato 1come “la scuola secondaria di primo grado, l’età delle medie, è un momento decisivo nella formazione dell’identità e nell’esposizione ai linguaggi della rete e dei social: un contesto in cui i messaggi sui rapporti affettivi e sulla sessualità arrivano precocemente, spesso in forme distorte o violente”.
Il punto, forse, è tutto qui: di quale scuola vogliamo parlare? Di un luogo neutro e silenzioso, dove si ripetono nozioni, o di una comunità educativa capace di affrontare la complessità del presente?
Educare significa dare strumenti per capire se stessi e gli altri, per scegliere, per dire sì e per dire no.
E in un momento storico in cui i giovani vivono bombardati da immagini, informazioni distorte e modelli tossici, ignorare la dimensione sessuale e affettiva equivale a lasciarli soli. La scuola non è – e non può essere – un parcheggio. È il primo laboratorio di cittadinanza. E una cittadinanza consapevole si costruisce anche parlando di corpi, emozioni, rispetto, diversità e responsabilità.
Rendere l’educazione sessuale una parte strutturale del percorso scolastico non significa togliere spazio alle famiglie, ma affiancarle in un compito educativo che oggi, più che mai, non può essere rimandato. L’educazione sessuale non è – dunque- un intruso tra i banchi, ma uno strumento di libertà. E insegnarla è un atto d’amore verso le nuove generazioni.


