Ricorre oggi “il Giorno della Memoria”. La giornata in cui si commemorano in tutto il mondo dal 2005 le vittime dei campi di concentramento. Forse, però, non tutti sanno che anche a Taranto era presente un campo di prigionia che ospitò oltre 10.000 prigionieri che fu poi demolito nel Maggio del 1946
Il Giorno della Memoria cade ogni anno il 27 gennaio. L’evento si celebra tutti gli anni in Italia e nel resto del mondo. La “giornata” istituita in Italia nel 2000 ed in tutto il mondo nel 2005, non va considerata solo un omaggio alle vittime del nazismo ma un’occasione di riflessione su una vicenda che riguarda tutti da vicino. Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui, al termine del secondo conflitto mondiale, i cancelli di Auschwitz vengono abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunitasi il 1° novembre 2005, ha proclamato ufficialmente, in occasione dei 60 anni dalla liberazione dei campi di concentramento, il 27 gennaio Giornata Internazionale della Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto. In questo l’Italia ha anticipato di 5 anni la risoluzione dell’ONU, con la legge 211 del 20/7/200, insieme a numerosi altri paesi che avevano istituito giornate commemorative nazionali per il 27 gennaio, come la Germania (1996) o il Regno Unito dal (2001).
Quello dei campi di concentramento è sicuramente una pagina nerissima della storia moderna che però può apparire lontana, quantomeno geograficamente, a certi popolazioni di alcune regioni italiane. Purtroppo non è così. Se di giornata della memoria vogliamo parlare è giusto ricordare che anche al sud Italia erano presenti dei campi di prigionia dove barbarie e violazione dei più basici diritti umani, erano violati ogni giorno. Sì perchè non sono esistiti solo campi di concentramento nazisti. Diversi furono i campi di transito, prigionia e contumacia costruiti dagli alleati, principalmente dagli inglesi. La maggior parte erano sparsi in Africa, Australia, Inghilterra, Grecia, India e in Sud Italia a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943. In questi campi di diversa tipologia e dimensioni furono internati decine di migliaia di prigionieri, classificati come P.O.W – “Prisoners of War” – (prigionieri di guerra), tra cui migliaia di italiani. Giusto per citarne qualcuno, in Italia si ricordano i campi di Afragola (NA), Ferramonti di Tarsia (CS) e Altamura (BA).
Anche a Taranto purtroppo fu edificato un campo del genere. Il campo Sant’Andrea. Costruito nel 1944, svolse principalmente la funzione di campo di transito e di prigionia per soldati tedeschi, russi e greci. Il campo, nonostante sia stato demolito nel 46, è ancora visibile fra le masserie Caselle, Torre Bianca, Sant’Andrea e Torre Rossa, nei pressi dell’attuale quartiere Paolo VI e dalle foto aeree sono ancora ben riconoscibili i basamenti delle baracche, parte dell’impianto fognario e stradale, nonché i percorsi delle recinzioni. Nell’ottobre del 1945 ad essere trasferiti a Taranto furono migliaia di soldati dell’esercito italiano catturati sui campi di battaglia e tra loro anche soldati della X° Mas e criminali comuni. In quasi due anni di attività di contarono quasi ventimila transiti dal “campo-S” Diverse centinaia furono i morti. Forse qualche migliaio.
Spaventose le condizioni igieniche in cui i prigionieri erano costretti a vivere, rinchiusi in delle baracche di legno o in tende militari senza un letto, privi di servizi igienici, esposti a epidemie, al freddo e con scarsissime razioni di cibo. Ben presto, il campo fu soprannominato “campo della fame”.
A seguito di una serie di rivolte interne, il campo fu progressivamente abbandonato prima dagli inglesi e successivamente dai prigionieri rimasti. La maggior parte di loro erano ragazzi di vent’anni fatti prigionieri durante la guerra. Fondamentale fu proprio il ruolo della popolazione ionica che dimostrò grande solidarietà anche quando il 10 aprile del 46 all’interno del campo vi fu la rivolta che fece saltare il controllo armato, dando il via all’esodo oltre il filo spinato. In città vecchia, presso le abitazioni private e le parrocchie, gli evasi trovarono accoglienza per essere rifocillati prima di essere aiutati ad uscire incolumi dalla città per tornare alle proprie terre.
Queste storie ci sembrano, per fortuna lontane, ma sarebbe bene leggere, informarsi e capire cosa successe in quegli anni, in quei posti orribili, per cercare davvero di non cancellare la memoria che purtroppo ancora oggi viene rinfrescata troppo spesso da immagini di guerra e di morte che ci giungono da molte, troppe parti del mondo.