di Rosa Elenia Stravato
Un tarantino poliedrico che ha reso la risata l’elegante mezzo di comunicazione della sua franchezza ed onestà intellettuale
Nato l’11 giugno 1956 a Taranto, ma cresciuto a Napoli fin dall’età di tre anni, Giobbe Covatta — all’anagrafe Gianmaria Covatta — è uno degli interpreti più amati e poliedrici del panorama comico-culturale italiano. Fin dai suoi esordi, già come animatore turistico, Covatta mostrò una naturale inclinazione per l’umorismo: decidendo di adottare lo pseudonimo “Giobbe”, intraprese la gavetta nel cabaret milanese (tra cui il celebre Derby Club), dove venne a contatto con la scena comica emergente di quegli anni. Il suo passaggio al piccolo schermo avvenne nel 1987 su Odeon TV, con programmi come Una notte all’Odeon, e successivamente su Rai 2 con trasmissioni quali Tiramisù, Fate il vostro gioco e Chi c’è c’è. La svolta decisiva giunse nel 1990 grazie al Maurizio Costanzo Show: qui Covatta conquistò il grande pubblico leggendo suoi testi satirico-riflessivi, spesso ispirati a temi religiosi o esistenziali. Da quel momento, la sua popolarità divenne nazionale e la sua carriera artisticamente molto varia: teatro, cinema, televisione e scrittura. Nel 1991 esordisce a teatro con lo spettacolo Parabole Iperboli al Teatro Ciak di Milano ma non si ferma. La sua voglia di raccontare il mondo e le sue contraddizioni diventa monito per donarsi, in maniera diretta, al suo nutrito pubblico. Tra le sue performance teatrali più note: Aria Condizionata – e le balene mo’ stanno incazzate… (1993/1994), in collaborazione con Greenpeace, uno spettacolo-monologo ironico con accenti ecologisti. A cui hanno fatto seguito le performance Primate assoluto (1995), Io e Lui (1996), per la regia di Vincenzo Salemme, insieme a Francesco Paolantoni, Art (1996/1997), diretto da Ricky Tognazzi. Il fortunato Dio li fa e poi li accoppa (1999), al quale seguì il bis con Dio li fa… Terzo millennio. Double Act: due atti a farsi male (2001/2002), regia di Marco Mattolini. Interessante, se pur meno noto, Corsi e ricorsi, ma non arrivai (2003). Con Melanina e Varechina (2004), affronta temi di relazione tra mondo occidentale e Africa. Con Trenta (2010), si cimenta in un’accorata traversata dei 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. Negli anni più recenti, la sua attività teatrale continua: nel 2025, per esempio, porta in scena la serata speciale 70 – Riassunto delle puntate precedenti, una celebrazione del suo percorso artistico e dei temi che da sempre lo accompagnano (religione, ambiente, diritti, solidarietà, Sud). Ma Covatta ci restituisce una sfumatura molto alta della comicità che, come diceva qualcuno, è un’arte che non poggia sul nulla.
È un’arte finissima che non tutti possono percorrere, giacché implica una capacità di lettura critica della realtà molto complessa. La produzione letteraria di Giobbe Covatta è parte integrante della sua arte: con uno stile ironico, dissacrante ma mai banale, egli affronta temi religiosi, sociali, politici, culturali, spesso intrecciati con questioni di attualità. Nel celebre Parola di Giobbe (1991) si legge una rivisitazione satirica della Bibbia, presentata in napoletano nella prima edizione — “Dicette Giobbe” — e poi tradotta in italiano. Il libro attraversa storie dalla Genesi all’infanzia di Cristo, reinterpretate con umorismo e ironia. Il successo fu immediato: oltre un milione di copie vendute e decine di ristampe.
In Pancreas – Trapianto del libro Cuore (1993), tratteggia una parodia del classico di formazione e patria valori dell’Ottocento, affrontando con satira temi educativi e sociali, evidenziando anche le storture dell’assistenza scolastica e delle disuguaglianze. Covatta si serve del mondo scolastico per denunciare le disuguaglianze sociali. Esilarante, Dio li fa e poi li accoppa (1999) che riprende il titolo del suo spettacolo teatrale, offrendo una proposta narrativa — tra satire e riflessioni — sul mondo, l’umanità e le ingiustizie. Tra le opere più recenti figura Un bianco in nero (2023), che testimonia come il comico continui a sentire il bisogno — anche a distanza di decenni di carriera — di riflettere con ironia su temi sociali, culturali e politici, in un dialogo costante tra Sud e mondo.
La comicità di Giobbe Covatta non è mai mera evasione, ma un veicolo di riflessione: sa far ridere con leggerezza, ma lascia che la risata si trasformi in consapevolezza. Il suo uso dell’ironia — talvolta dissacrante, talvolta delicatamente satirico — gli consente di affrontare temi spinosi: religione, disuguaglianza sociale, razzismo, diritti umani, Nord e Sud del mondo, ambiente, ingiustizie. Questo stile — allo stesso tempo popolare e pensato — lo rende una figura speciale: un comico “di testa”, capace di mescolare il sano divertimento con una coscienza civile. Come molti osservatori ricordano, non è un caso che la sua fama si sia costruita proprio grazie a letture bibliche in chiave comica: il contrasto tra sacro e profano, tra serietà e ironia, è diventato marchio di fabbrica del suo repertorio. Parallelamente, Covatta ha sempre dimostrato profonda sensibilità verso le cause sociali: fin dagli anni Novanta è testimonial di AMREF e di altre ONG, impegnandosi concretamente nella difesa dei diritti umani, della solidarietà internazionale, dell’aiuto ai bambini nei Paesi poveri. In virtù di questo duplice registro — comico e impegnato — Covatta ha saputo conquistare un pubblico trasversale: generazioni diverse, nord e sud, famiglie e giovani. La sua comicità, dunque, diventa anche un ponte culturale, un invito al dialogo, una finestra su una visione del mondo più giusta e consapevole.
Sebbene sia cresciuto a Napoli, il legame di Covatta con la sua terra natale, Taranto, non è mai venuto meno. È significativo che un artista dalla connotazione nazionale — e dunque potenzialmente “trasversale” — conservi nella sua memoria e nella sua sensibilità l’identità del Sud. Questo radicamento si percepisce nelle sue parole, nei suoi accenti, nella sua empatia verso le realtà meno fortunate, spesso concentrate al di là del “nastro di confine” tra Nord e Sud. In un’Italia troppo spesso divisa da stereotipi e luoghi comuni, Covatta rappresenta una voce autentica del Sud: non rivendicazionista, ma fiera, ironica, accogliente. La sua comicità porta con sé un respiro meridionale: nella parlata, negli sguardi, nelle storie. Ma soprattutto nell’idea che la dignità, la giustizia e la solidarietà non abbiano confini geografici. Così, anche quando affronta temi universali — religione, razzismo, diritti umani — lo fa con sensibilità di chi conosce da vicino la marginalità, le contraddizioni, la bellezza e le fragilità di un Sud spesso dimenticato. Questo rende Covatta non soltanto un artista, ma un testimone d’identità e un ambasciatore di valori. In oltre trent’anni di carriera, Giobbe Covatta ha dimostrato come la comicità possa essere “utile”: non per puro divertimento fine a sé stesso, ma come strumento di consapevolezza, riflessione e impegno. Ha saputo attraversare i mezzi — dalla televisione al teatro, dal cabaret ai libri — senza perdere coerenza stilistica e morale. Il suo successo editoriale (con milioni di copie vendute), teatrale, televisivo e civile testimonia la sua capacità di essere “popolare” senza diventare banale, “sociale” senza indulgere nel pietistico, “divertente” senza rinunciare alla profondità. In un Paese come l’Italia — spesso diviso, distratto, distratto — la sua voce resta un monito: si può ridere con intelligenza, si può pensare con leggerezza, si può cambiare con un sorriso. Oggi, mentre Giobbe Covatta festeggia quasi settant’anni e oltre quarant’anni di carriera, la sua figura appare il prefetto ponte tra Nord e Sud, tra risata e coscienza, tra spettacolo e moralità. Un uomo che ha fatto della comicità un atto d’amore verso l’umanità.


