Impagnatiello non è un’eccezione ma il frutto preciso di una società in cui, al di là dell’apparenza, il problema della donna è solo e soltanto della donna
Monstrum, dal latino: cosa straordinaria, evento fuori dal comune.
Ecco, se seguiamo precisamente l’etimologia del termine, Alessandro Impagnatiello non può essere considerato un mostro.
Perchè quello che ha fatto, uccidendo a sangue freddo e premeditatamente la compagna e il figlio che portava in grembo, prossimo alla nascita, non rientra più tra le eccezioni.
Dall’inizio dell’anno, in Italia, i femminicidi sono già 14, secondo i dati del Viminale.
E, per restare nel Tarantino, ricordo ancora le parole di una operatrice del Centro Antiviolenza Donna della nostra città: “Siamo molto impegnate, purtroppo abbiamo molto lavoro da fare”.
Alessandro Impagnatiello non è un’eccezione, ma il frutto preciso di una società in cui, al di là di ciò che si professa dai microfoni sui convegni e sui profili social, esiste ancora una cultura della violenza, neanche troppo sommersa.
Una cultura che reputa normale che, dovendo scegliere per mancanza di aiuti alle famiglie, sia la donna a restare a casa e rinunciare al proprio lavoro. Anche questa è una sottile forma di violenza.
Il carico mentale che grava sulle spalle delle donne, che se vogliono lavorare devono anche essere in grado di gestire casa e figli, è una sottile forma di violenza.
Le posizioni lavorative che richiedono bella presenza e taglia di vestiario, sono una sottile forma di violenza che all’uomo non viene applicata.
Le battute sessiste fatte sul posto di lavoro da coloro che si battono il petto sui social per l’emancipazione femminile, sono una forma sottile di violenza.
L’amore concepito come possesso, come sfruttamento dell’altro approfittando delle sue debolezze e dei suoi sentimenti, come trappola fatta di bugie e manipolazioni psicologiche, come giustificazioni alla propria mancanza di rispetto del tipo “Sono uomo e ho le mie esigenze, una non mi basta”, oppure “non rompermi le scatole, sei pazza”, è una grande forma di violenza.
A questo punto qualcuno si straccerà le vesti: “Questo non spiega l’orrore di un uomo (ma possiamo davvero chiamarlo così?) che uccide in quel modo la propria compagna e il proprio figlio”.
E invece, Impagnatiello che decide di prendere in giro due donne, intrecciando una relazione con ognuna ad insaputa dell’altra e magari vantandosene con i suoi amici, che viene descritto e fotografato sui quotidiani nazionali con “lo sguardo da latin lover” (attenzione: fosse stato il caso di una donna avreste letto troia; non vi scandalizzate, dall’italiano troia: femmina del maiale) è il frutto preciso di questa società.
Questo rifiuto della specie che uccide in modo barbaro e lucido la donna che lo amava e il piccolo che porta in grembo è il prodotto di un sentire ancora purtroppo comune, in cui le donne sono un problema da risolvere, un casino da gestire, una spina del fianco da eliminare a proprio piacimento.
Una società in cui conta molto apparire, dimostrare, presenziare a tavoli tecnici, sciorinare dati e scrivere sui profili ciascuno il proprio pensiero in stile politically correct. Ma nella quale, in sostanza non è cambiato quasi nulla. Perchè al di fuori delle occasioni ufficiali, non sempre alle parole corrispondono i fatti.
Il problema della donna resta ancora appannaggio della donna, non della società intera.
Ecco da dove nascono i numeri di soccorso per strada, gli spray al peperoncino, gli inviti a non andare all’incontro chiarificatore.
Tutti utili, ma tutti palliativi.
Come quando hai la febbre per un’infezione e invece di prendere l’antibiotico prendi la Tachipirina. Curi il sintomo, non la causa.
La speranza c’è? Forse, ed è nelle nuove generazioni.
Si badi bene, attraverso un lavoro che non parta dalla scuola, ma dalla famiglia e da tutti gli ambiti sociali.
Perchè non ha senso parlare in classe di rispetto per la donna e poi tornare a casa e vedere papà sul divano e mamma che pulisce, papà che alza la voce e dice: “L’uomo sono io e i soldi a casa li porto io”, “Devi darmi conto di dove vai e di come ti vesti”, ecc.
Un lavoro collettivo che insegni che il vero amore si basa sul rispetto, sulla sincerità, che spieghi che tutto il resto è fuffa e non bisogna accontentarsi delle briciole di chi non sa amare, perchè ciascuno di noi ha un valore immenso che prescinde dal sesso, dal colore, dall’orientamento sessuale e da tutte quelle divisioni che l’uomo ha inventato per seminare guerra all’interno della sua stessa specie.
Il rispetto di sè stessi e dell’altro sono imprescindibili in una società civile. E noi, purtroppo, ne siamo ancora molto, molto lontani.