di Rosa Elenia Stravato
Il noir mediterraneo tra archetipi oscuri e luce abbagliante
Capita spesso d’imbattersi nel termine”noir” ma siamo certi di conoscerne, davvero, le caratteristiche che lo connotano? Nel suo significato letterario più rigoroso, la parola “noir”, rimanda a una tonalità narrativa cupa, ambigua, fondata sull’intreccio tra violenza, destino e colpa. A codificarne l’impianto moderno fu Dashiell Hammett, padre del romanzo hard-boiled americano: nei suoi testi, a partire da Red Harvest (1929), la città si fa labirinto morale, la legge una maschera fragile e l’investigatore un essere liminale, più vicino ai fallibili personaggi che insegue che a un astratto ideale di giustizia. Esso le sue radici nella prima metà del Novecento, soprattutto negli Stati Uniti, e si distingue per un approccio disincantato, spesso ovattato e cupo, nella rappresentazione del reale. Vale la pena, ricordarne quali sono le principali caratteristiche: in primis l’atmosfera cupa e moralmente ambigua in cui sia bene che il male non sono categorie nette, ma zone d’ombra che si intersecano. Il protagonista è imperfetto e spesso disilluso; persone che non aspirano all’eroismo, ma alla sopravvivenza. Ma ogni noir che si rispetti riproduce la città come un organismo vivo, un luogo di perdizione e conflitti sotterranei: vicoli degradati, neon tremolanti, locali fumosi, uffici grigi. Lo spazio urbano diventa una metafora dell’opacità umana. Lo stile caratterizzante il genere predilige frasi brevi, immagini essenziali, dialoghi tesi, un ritmo spezzato che rispecchia l’inquietudine dei personaggi.
È un realismo duro, spesso impregnato di cinismo o ironia corrosiva. Una cosa appare certa: in queste storie non esiste mai una risoluzione pienamente consolatoria. Anche quando si scopre la verità, il prezzo da pagare rimane elevato: perdita, disincanto, resa morale. Una – potremmo definirla- tragedia moderna con eroi fragili e un ordine del mondo irrimediabilmente incrinato. Raymond Chandler ha il merito di aver raffinato il genere con una prosa più letteraria e un protagonista mitico, Philip Marlowe, investigatore solitario, elegante e malinconico. Singolare, poi, il contributo di James M. Cain; maestro del genere, “della passione e della colpa”, spesso focalizzato sul crimine come esito di desideri distruttivi. Ovvio che, un genere così complesso e fascinoso, ha trovato ampio spazio ed ha spesso mutato forma. Interessante, a tal proposito, il lavoro di Jean-Patrick Manchette che ha rivoluzionato il noir francese negli anni ’70 con un approccio politico e corrosivo, creando il neo-polar, più sociale e militante. Ed ancora, in quel di Cuba, si è fatto strada Leonardo Padura che ha originato la serie di Mario Conde. Questo lavoro, ad esempio, rappresenta una declinazione caraibica e post-rivoluzionaria del noir, in cui nostalgia, storia e fallimenti individuali si intrecciano. Maj Sjöwall e Per Wahlöö rappresentano, invece, la coppia fondatrice del poliziesco scandinavo che si connota per una forte impronta sociale, che anticipa il clima del “Nordic noir”.
Trasferitosi in Europa, il noir ha trovato sulle rive del Mediterraneo un terreno di rielaborazione fertile e sorprendente. Possiamo affermare che esiste un noir mediterraneo che coniuga ombra e luce, mito e cronaca, ferocia e umanissimo disincanto. In Italia – infatti – il noir ha assunto una fisionomia peculiare, nutrita da chiaroscuri culturali profondi, da un rapporto ancestrale con il paesaggio e da una tensione costante tra modernità e memoria. In principio fu Giorgio Scerbanenco, precursore assoluto, che trasferì nella Milano degli anni Sessanta un realismo tagliente e dolente.
In epoca più recente, Massimo Carlotto ha conferito al genere una declinazione noir-criminale una forte impronta sociologica mediante uno stile nervoso, un ritmo secco e la costante riflessione sull’illegalità quale sistema. A emergere da questo panorama è un tratto comune ovvero la luce mediterranea che non rischiara ma acceca, facendo risaltare l’ombra invece di dissolverla. Le città di mare, le periferie arroventate, i paesaggi sospesi tra arcaico e contemporaneo diventano scenografie morali, non semplici fondali. Pur noto soprattutto per il suo contributo al thriller psicologico, Donato Carrisi si colloca con piena legittimità all’interno del noir mediterraneo grazie a una poetica dell’oscurità che affonda nelle pieghe più fragili dell’umano. Le sue trame, vertiginosamente congegnate, indagano la manipolazione, la colpa e l’inafferrabilità del male. Carrisi declina il noir secondo un registro mentale e labirintico, dove il Mediterraneo è meno paesaggio che metafora: un mare nero, insondabile, di cui i personaggi esplorano correnti invisibili. Il suo stile, tagliente e quasi cinematografico, aderisce a un’idea di noir come esercizio di svelamento dell’invisibile, più che come rappresentazione della criminalità. Sempre “made in Sud”, Giorgia Lepore incarna la componente più territoriale e sensoriale del noir mediterraneo. La sua Puglia — calda, ruvida, sensoriale — non è sfondo, ma corpo vivo che reagisce alle vicende umane. Il commissario Sylos, figura fragile e insieme carismatica, si muove in un ambiente dove l’indagine è sempre anche scavo antropologico: nelle comunità, nei silenzi, nelle tradizioni che sopravvivono come substrati di memoria. Lepore scrive con una lingua calibrata e densa, sensibile ai moti interiori e alle stratificazioni emotive. Il suo noir è intimo e terrestre, in cui la luce abbagliante del Sud mette a nudo i non detti, i rancori, le ferite collettive.
Il noir, nella sua essenza più profonda, è il luogo letterario in cui l’ombra prende parola. Non è semplice narrazione del crimine, ma interrogazione radicale sull’uomo, sui suoi smarrimenti, sulle zone grigie che separano la giustizia dalla colpa. Come scriveva Raymond Chandler: «Il romanzo poliziesco è una forma di letteratura che non può permettersi di mentire sulla vita». In questa verità spietata si riconosce la natura del noir: uno specchio obliquo che riflette la fragilità della condizione umana e le faglie della società. Quando questo sguardo si sposta nel panorama mediterraneo, il noir assume una vibrazione ulteriore, unica. La luce del Sud — lungi dal dissolvere le ombre — le rende più nette, quasi taglienti. Il mare, con la sua doppia natura di confine e apertura, diventa simbolo di storie sospese tra memoria antica e tensioni contemporanee. Nelle città di porto, nelle terre bruciate dal sole, nelle comunità dove il destino sembra scolpito nella pietra e nei silenzi, il noir mediterraneo trova la sua voce. Una voce che mescola fatalismo classico e conflitti moderni, intimità e disincanto. Dunque, se il noir tradizionale scruta l’oscurità delle strade, quello mediterraneo scruta anche l’oscurità della luce; una contraddizione solo apparente, perché è proprio nel contrasto tra bagliore e ombra che emergono le verità più radicali. È un genere che non racconta soltanto del male, ma del modo in cui le comunità e gli individui tentano — spesso invano — di convivere con esso. In questo equilibrio difficile, fatto di corpi, terre, memorie e venti salmastri, il noir mediterraneo eleva la sua poetica, trasformando ogni storia in un’eco antica che risuona nel presente.


