di Rosa Elenia Stravato
Ritratto di una giornalista che trasforma inchieste, libri e teatro civile in strumenti di verità e impegno sociale, dalle polveri di Taranto alle sfide dell’informazione contemporanea
Valentina Petrini è una delle voci più coraggiose e lucide del giornalismo italiano contemporaneo: nata e cresciuta a Taranto, in un quartiere operaio a ridosso dell’Ilva, ha trasformato il suo percorso professionale in una lezione di devozione civile. Le sue inchieste, il suo impegno culturale e la sua produzione letteraria sono saldamente radicati nelle questioni sociali – in particolare quelle legate all’ambiente, al lavoro e all’informazione. Una missione che ha chiaro il valore del “fare informazione”: non, dunque, una mera compilazione di informazioni ma anima e ricerca costante del senso delle parole e dell’accuratezza delle fonti. Giornalista pubblicista, iscritta dal 2005 all’Ordine dei Giornalisti della Puglia, Petrini ha mosso i primi passi nel mondo dell’informazione in radio, per poi passare all’agenzia Adnkronos e collaborare con testate nazionali.
Specializzata in analisi delle politiche migratorie si è concentrata – inizialmente – sui fenomeni migratori in Italia e in Europa. Ha, altresì, lavorato anche per il Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, curandone la comunicazione stampa. Nel 2007 si è occupata di raccontare in maniera puntuale da vera insider la realtà dei centri di permanenza per migranti.
La sua carriera televisiva ha inizio nel 2008 su La7, accanto ad Alessandro Sortino nel programma d’inchiesta Malpelo. Da lì è passata a Exit (sempre La7), dove ha lavorato per cinque stagioni in qualità di inviata, dedicandosi a temi sociali, migratori e di attualità. Ha collaborato anche con “Piazzapulita” di Corrado Formigli, firmando reportage su lavoro, criminalità e migrazioni – tra le sue esperienze più note, fingere di essere profuga per seguire la rotta balcanica insieme a una famiglia siriana. Nel 2016 ha affiancato Enrico Lucci alla conduzione del programma Nemo – Nessuno escluso (Rai 2), svolgendo anche il ruolo di inviata all’estero: raccontando le rotte migratorie, ma anche i conflitti (Donbass) e la società post-Trump. Nel 2017 ha collaborato a I Cacciatori su Nove, e dal 2019 ha dato vita a Fake – La fabbrica delle notizie, un programma dedicato al fact-checking, alle bufale e alla disinformazione, dove mette in campo il suo stile rigoroso per smascherare le fake news. Quello di Valentina Petrini non è un giornalismo “di superficie” giacché le sue inchieste sono contraddistinte da un mix di investigazione rigorosa, testimonianze dirette e consapevolezza civile.
Non teme di rapportarsi con istituzioni, magistratura, lavoratori, familiari delle vittime: documenta con cura, ma anche con empatia, senza rinunciare alla precisione. Un suo tratto distintivo è la capacità di portare storie locali – come la questione Ilva- su un piano più ampio, trasformandole in simboli di questioni nazionali come l’industria, la salute e la giustizia sociale. Ne Il cielo oltre le polveri, pubblicato da Solferino, ci consegna un lavoro di straordinaria potenza. Un libro-inchiesta che ripercorre la storia dell’Ilva di Taranto, intrecciando testimonianze di vittime, familiari, esperti e istituzioni. Con una commuovente sensibilità e attraverso rigore scientifico, torna nei luoghi dell’infanzia ed interroga il suo stesso passato. Così giunge a restituire ai lettori il resoconto crudo di dolore, menzogne e responsabilità. Questo lavoro le è valso l’XI Premio Letterario Caccuri per la saggistica. Taranto – lo si evince chiaramente- è il cuore pulsante della sua missione giornalistica. Attraverso Il cielo oltre le polveri, si impegna a denunciare – non solo- l’inquinamento, le morti legate all’industria, la mancanza di giustizia per i lavoratori e i cittadini ma restituisce costantemente il senso di profonda ingiustizia sociale che vive una terra bellissima. Il suo è un impegno concreto giacché il suo attivismo è un “esserci”. Una sorta d’imperativo categorico etico- morale che persegue con caparbia lucidità e che la vede presente attivamente in rassegne culturali, manifestazioni ed eventi. È anche tra le presenze fisse, infatti, del concertone del Primo maggio tarantino.
Nel lavoro istituzionale, contribuisce a mantenere alta l’attenzione su Taranto come simbolo di una partita più grande – quella della riconversione ecologica, della salute pubblica e del diritto al lavoro dignitoso. Acuta, non avvezza a compromessi e mai banale, la giornalista ha fatto della sua penna la sua vera ed autentica etichetta. In Non chiamatele Fake News, edito da Chiarelettere, ha scelto di donarsi intimamente raccontando il suo modo di intendere l’arte del giornalismo. Una lezione, si direbbe, davvero toccante in cui restituisce le sue scelte da cronista, riflette sul ruolo del giornalismo nella battaglia contro la disinformazione, e mette in guardia contro un fenomeno che non è solo mediatico, ma politico e culturale. È, forse, la più lucida spiegazione di una poetica che segue la luce della verità. Dal 2021, co-conduce su Audible il podcast Complotti insieme a Massimo Polidoro, noto divulgatore scientifico in cui esplorano il mare sterminato delle teorie del complotto – distinguendo tra cospirazioni reali, disinformazione deliberata e narrazioni intrise di dubbio – adoperando un approccio investigativo e curioso. La valigia della libertà è una performance di teatro civile che la giornalista sta portando in scena in giro per l’Italia. La performance nasce dall’incontro con Sibilla Barbieri, donna malata di cancro che sceglie di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione di fronte alla vita e alla morte. La genesi della performance è stata il podcast chiamato Disobbedisco realizzato per OnePodcast, in cui la giornalista ha registrato conversazioni intime con Sibilla nei suoi ultimi mesi di vita, documentando la sua decisione, gli incontri con istituzioni, medici e familiari. La versione teatrale è un atto civile potente attraverso cui Valentina racconta sul palco con la voce di Sibilla, accompagnata dalla musica di Pasquale Filastò e dalla fisarmonica di Stefano Indino.
In un’epoca in cui l’informazione è spesso appiattita sui toni facili, Valentina Petrini è un modello di giornalismo che fa la differenza. Non solo per quello che racconta, ma per il modo in cui lo fa, per la passione che lo guida, e per la fedeltà alle sue radici. Non è un giornalismo “di comodo”, la sua è una responsabilità presa sul serio. Il suo è un impegno che va oltre la cronaca; è una forma di militanza civile, in cui la parola, la memoria e la denuncia diventano strumenti per cambiare davvero le cose.


