“Il progetto di Taranto deve essere attuato nella sua completezza e senza riduzioni di sorta: i 3 forni elettrici e 3 DRI compresa la nave rigassificatrice, perché Taranto deve continuare a mantenere il suo primato di fabbrica di acciaio primario”
“E’ già passata una settimana – fanno sapere nella nota -da quando abbiamo formalmente inoltrato direttamente una richiesta di incontro alla Presidente del Consiglio per chiederle di avocare a se questa irrisolta questione. Incontrare la Meloni. A Taranto, a Roma, non importa dove. Farlo nel più breve tempo possibile. Farlo come delegazione di AIGI, nella nostra veste di rappresentanti dell’indotto di Acciaierie d’Italia. Prima che sia troppo tardi. Prima che la situazione possa sfuggire di mano in maniera definitiva. L’emergenza di queste ore – aggiungono – gli scioperi indetti negli stabilimenti di Taranto e Genova, i disagi arrecati alle città coinvolte, alle popolazioni residenti, meritano un cambio di passo repentino. E posizioni chiare, nette, rispetto al destino produttivo del sito industriale. Delucidazioni sugli eventuali risvolti economici. Impegni concreti assunti, questa volta, direttamente dal presidente del Consiglio.
“Chi come noi, con le nostre imprese, con i nostri lavoratori, così come tutti quei tecnici, quegli operativi dello stabilimento che continuano a reggere stoicamente le sorti di quel colosso, progettato per operare al massimo e non per singhiozzare pericolosamente al minimo, merita rispetto e ascolto. “Oggi, noi di AIGI – sottolineano – siamo i sopravvissuti di quella stagione del 2015, rischiando il futuro, all’indomani della nuova formula commissariale inauguratasi nel 2024, siamo ancora qui. Nonostante tutto e tutti. A dispetto delle forti preoccupazioni nutrite sul protrarsi oltremodo della procedura di vendita della fabbrica. Sull’allontanamento progressivo del rilancio economico. Sulle sofferenze finanziarie che, con l’approssimarsi del Natale, aggiungono ulteriori incertezze e sentimenti di frustrazione a quelli già esistenti. Così non si può andare avanti, cuocendo su un fuoco lento, aspettando una ipotetica vendita che chissà mai se si verificherà. Lo stato faccia lo stato e prenda definitivamente in mano la situazione mettendo in campo tutte le azioni che li competono per la strategicità dell’acciaio italiano. Il progetto di Taranto deve essere attuato nella sua completezza e senza riduzioni di sorta: i 3 forni elettrici e 3 DRI compresa la nave rigassificatrice, perché Taranto deve continuare a mantenere il suo primato di fabbrica di acciaio primario. Nessuna frammentazione della sua capacità produttiva deve essere fatta, così come auspicano in altri territori italiani, con sponsorizzazioni mediatiche di autorevoli personalità nel settore siderurgico. Non possiamo accettare che dopo tanti anni di vessazione ambientale, adesso che Taranto potrà finalmente godere della nuova produzione green, questa sia fatta altrove. Che lo stato faccia lo stato e se è vero, che questo ama fregiarsi come il governo del fare, trovi i fondi veri, ed in una forma di partecipazione statale, metta in atto da subito la transizione green cominciando da subito a costruire il primo DRI, visto che i soldi sono già disponibili e gradualmente metta in atto la transizione graduale e ragionevole in condizioni di autosostenibilità economica e che impatti nel minor modo possibile sulla riduzione del personale e sulla cassa integrazione.”
Per queste ragioni chiediamo al presidente Meloni di ricevere una delegazione della nostra Associazione. Non si può convocare tutti fuorché la parte che con abnegazione è chiamata quotidianamente a mantenere in piedi lo stabilimento e che comunque sarà impiegata nelle manutenzioni e nei processi di riconversione, senza nemmeno annunciare i piani.”
Solo attraverso il dialogo – concludono – l’ascolto delle istanze dei lavoratori, un patto fondativo nuovo, istituzionale e comunitario al tempo stesso, potremmo tirarci fuori dalle secche di una situazione drammatica. Perché Taranto con fare resiliente possa cambiare verso ad un Mezzogiorno che, da questione irrisolta, da problema permanente, diventi grande opportunità. Per tutti, nessuno escluso.
Se tale convocazione non dovesse avvenire in tempi brevi, ed in mancanza di comunicazioni sui piani di continuità, data la precaria situazione in cui le aziende si potrebbero trovare potremmo essere costretti a rimodulare le nostre prestazioni fino anche al blocco delle attività con conseguente riduzione della forza lavoro, nostro malgrado.”


