L’associazione dell’indotto Ilva esprime giudizi severi sul fallimento delle politiche produttive nel capoluogo jonico
Taranto sta mancando l’ennesima occasione storica della propria vicenda socio-produttiva. Quella di divenire la città europea con i migliori requisiti per una fabbrica green, de-carbonizzata. Con un processo di ripensamento – e innovazione – dell’industria, secondo i canoni ai quali eravamo abituati nel Novecento. Perseguendo la politica dei “no”, dell’integralismo disfattista, sta buttando via il proprio futuro. Malamente, tra l’altro. Facendo il gioco di chi ha tutto l’interesse perché il capoluogo jonico perda il suo primato di città più industrializzata del Mezzogiorno. Per trarne vantaggi. Per prenderne il suo posto. Per rosicchiarne fette importante di Pil nazionale. Tutto questo è, semplicemente, inconcepibile. Da suicidio assistito. Abbiamo subito per anni gli effetti di un modello produttivo che non coniugasse abbastanza, in chiave ecosostenibile, con criterio, una produzione sganciata dalla tutela dei diritti fondamentali. Quello alla salute. Quello all’ambiente. E, adesso, che facciamo? Ci prepariamo, con scarsa consapevolezza, a subire per chissà quanti anni ancora una coatta (e violenta) deindustrializzazione. Perché un qualsivoglia progetto di sviluppo venga bocciato sul nascere da una visione integralista – e disfattista – dell’avvenire ormai imperante. Votata alla decrescita felice, espressione mai più sbagliata – e ambigua – della nostra contemporaneità. Fare tutto ciò adesso, ripetiamo, non ha alcun senso. Dopo decenni passati a batterci perché l’industria siderurgica divenisse altro, finalmente vediamo realizzato il nostro proposito. Finalmente si stavano gettando le basi per un’economia che puntasse su nuove fonti energetiche. Che abbandonasse il carbone; e si aprisse alle novità della scienza. Ma niente, i fondamentalismi vari e contrari che dominano la scena hanno deciso che questo, come altri matrimoni, non debbano celebrarsi. Complice una politica debole, alla quale dettare la linea più che seguire nell’idea di comunità da consegnare alle prossime generazioni. Taranto, secondo questi soloni del pensiero unico, deve approssimarsi alla stagnazione economica, alla desertificazione demografica, come da ultimo alcuni studi – e censimenti sulla popolazione residente – stanno denotando. Mancando il lavoro, i professionisti del consenso avranno difficoltà nel promettere occupazioni che non c’è. E non ci sarà sempre più in futuro con questi chiari di luna. Oggi l’industria, domani il dissalatore, dopodomani chissà cosa. Arrestare le lancette della storia, per riportarle indietro, in un passato fatto di credenze magiche e racconti fantasiosi, rischia di rivelarsi molto pericoloso. Si è soliti affermare: una generazione di uomini costruisce, un’altra mantiene, e quella dopo distrugge. Non si scherzi con il fuoco, per favore.