L’Autonomia differenziata accrescerebbe la forbice delle disuguaglianze tra il Nord del Paese e il Mezzogiorno, il quale lamenta carenze importanti in settori come Sanità e Istruzione
Il divario tra Nord e Sud alimenta il dibattito politico soprattutto ora che lo scudiscio del governo , sempre più prono a considerare l’introduzione di un’autonomia differenziata nel nostro Paese, incombe temibilmente. Ma cos’è l’autonomia differenziata? Si tratta del riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. E’ una possibilità offerta dall’articolo 116 della Costituzione, finora mai attuata proprio in considerazione delle profonde spaccature socio economiche accumulate specie nel Meridione e foriere di divari importanti.
Tra i punti oggetto di critica vi è quello relativo il finanziamento delle prestazioni base, detti Lep, che dovrebbero secondo la Costituzione, tutelare i “diritti civili e sociali” di ciascun cittadino e cittadina. L’importo di tali finanziamenti dovrebbero essere stabiliti prima delle richieste di autonomia, per avere un quadro delle risorse in campo. Ma il disegno di legge prevede che le regioni potranno formulare una intesa prima di tale passaggio, pattuendo tali somme sulla base della spesa storica della regione nei vari ambiti di competenza. Tutto ciò naturalmente accrescerebbe il divario tra regioni, e tra le due parti del Paese, in quanto garantirebbe al Nord maggiori finanziamenti e risorse, restituendo una spesa storica più elevata. Il disegno di legge di Roberto Calderoli potrebbe dunque impattare con forza avere conseguenze disastrose, accrescendo la forbice delle disuguaglianze.
Ricostruire la mappa di servizi essenziali garantiti al Sud solo parzialmente risulta complicato. Partiamo da alcune voci: spesa sanitaria, asili nido, università e scuola.
Secondo i dati ISTAT riferibili agli asili nido alla fine del 2020 i livelli di copertura più alta si registrano nel Nord-est e nel Centro Italia, picco in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento(37,9%). Fanalino di coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%. In termini di offerta pubblica sui posti complessivi, la maggior parte delle regioni meridionali ha una quota di posti nei servizi educativi a titolarità comunale inferiore al 50% e una spesa media dei Comuni per bambino residente ben sotto il valore nazionale.
Nel 2021 la quota di bambini sotto i tre anni che percepiscono il bonus varia dal 32,0% del Centro al 16,2% del Sud. Per quanto riguarda le risorse percepite si va dai 403 euro per bambino residente al Centro a 391 euro al Nord-ovest, 354 al Nord-est, 229 le Isole, e solo 172 euro al Sud.
Spesa sanitaria. Sempre secondo l’ISTAT, nel 2019 la spesa pro capite delle ripartizioni geografiche del Centro corrispondeva a 1.930,8 euro, nel Nord-Est 1.922,1 euro e nel Nord-Ovest 1.978,4 euro. La ripartizione del Centro Nord nel suo insieme (1.947,5 euro) risultava al di sopra della media nazionale (1.925,4 euro), mentre nel Mezzogiorno (1.882,4 euro), inferiore alla spesa media nazionale.
Nello stesso periodo si osserva un ampio divario tra le aree geografiche del Paese: il Sud presenta valori al di sotto della media nazionale (3,1 per 1.000 abitanti). I valori più bassi si registrano in Campania (2,5 posti letto per 1.000 abitanti) e Calabria (2,6). Il valore più alto si osserva in Emilia Romagna (3,7).
Università. Il Censis colloca tra i mega atenei, quelli cioè che hanno oltre 40 mila iscritti, al primo posto l’Alma Mater di Bologna con un punteggio complessivo di 89,8 su 100. la seconda in classifica, l’Università di Padova e La Sapienza di Roma, al terzo posto, rispettivamente con 88,0 e 86,5 punti. A guidare la classifica dei politecnici è anche quest’anno il Politecnico di Milano (97,0), seguito dal Politecnico di Torino (91,5), che ora occupa la seconda posizione. Chiude la classifica il Politenico di Bari (87,7).
Fatto interessante è che il rendimento dell’istruzione nel nostro Paese è legato anche alla sua geografia: laurearsi al Nord è associato, in media, ad una retribuzione più alta del 2% in più che al Centro, e al 10% in più che al Sud. Le iscrizioni all’università sono peggio al Sud, dove però tengono le discipline Stem.
Sono di più i maschi (-3,2%) delle femmine (-2,6%) a decidere di non proseguire gli studi. E sono gli atenei del Sud a registrare la variazione negativa più marcata: -5,1%, equivalente a oltre 4.900 immatricolati in meno.
Scuola. Il gap Nord-Sud è ancor più palpabile se parliamo di scuola. Nel nostro Paese una bambina toscana ha garantita dallo Stato 1226 ore di formazione; un bambino cresciuto a Napoli non ha a disposizione la stessa offerta educativa, perché nel Mezzogiorno mancano infrastrutture e tempo pieno (fonte SVIMEZ)
Solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. La Basilicata (48%) è l’unica regione del Sud con valori prossimi a quelli del Nord. Bassi i valori di Umbria (28%) e Marche (30%), molto bassi quelli di Molise (8%) e Sicilia (10%). Gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. La differenza tra le ultime due regioni (Molise e Sicilia) e le prime due (Lazio e Toscana) è, su base annua, di circa 200 ore.
Nel Mezzogiorno, circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184 mila (88%), in Puglia 100 mila (65%), in Calabria 60 mila (80%). Nel Centro-Nord, gli studenti senza mensa sono 700 mila, il 46% del totale.
Circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano inoltre scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre, mentre registrano un netto ritardo la Campania (170 mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170 mila, 81%), la Calabria (65 mila, 83%).
Tra il 2008 e il 2020, la spesa complessiva dello Stato in termini reali per scuola e università si è ridotta del 19,5% al Sud, oltre 8 punti percentuali in più del Centro-Nord. Ancora più marcato il differenziale a svantaggio del Sud nel calo della spesa per investimenti, calati di quasi un terzo contro “solo” il 23% nel resto del Paese. La spesa per studente è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese (5.080 euro per studente contro 5.185). Tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno (dalla materna alle superiori) si è ridotto di quasi 250.000 unità (-75.000 nel Centro-Nord).
Numeri che dovrebbero indurci a riflettere e a riconsiderare la questione dell’Autonomia differenziata non come una opportunità ma un sistema per acuire le disparità. Ma in fatto di diritti non è possibile subordinare l’interesse pubblico all’interesse occasionale, nè fingere che certe manovre strumentali volte a sganciare il Sud, ritenuto erroneamente una sorta di zavorra, non siano ciò che sono: subdoli tentativi di trionfalismo politico destrorso, da sempre rancoroso e fiero, rappresentativo per lo più di una sola parte del Paese.