Stanca del suo vice Salvini, della lottizzazione politica operata su nevralgiche strutture economiche del Paese, il premier si occuperà personalmente della questione alla ripresa dei lavori dopo la pausa di agosto. Il caso di scuola del Porto di Taranto
Il mare bagna Taranto, ma non i tarantini. Nella città dei due mari non esiste una politica del mare. Un’economia del mare. Una letteratura del mare. Il Porto, ridotto ormai ad infrastruttura di terzo livello, senza dragaggi, senza operatori commerciali, senza container da movimentare, senza Evergreen Marine Corporation, raccolti armi e bagagli negli scorsi anni per andare a fare grande il porto del Pireo, con la crisi dell’Ilva, con i terminalisti mamma li turchi che allontanano invece che avvicinare potenziali clienti, senza una visione mediterranea, senza manager dotati di coraggio e sguardo prospettico, è l’esemplificazione di questa debolezza. Non più congiunturale, ma strutturale. Ormai perdurante. La nomina dei nuovi presidenti delle Autorità Portuali è ancora fermo allo status giuridico di commissari. Non evolve in altro da alcuni mesi. Il premier Meloni, stanca del suo vice Salvini, della lottizzazione politica di enti strategici per il rilancio economico del Paese, ha bloccato tutto. E, alla ripresa dei lavori a settembre, esaminerà personalmente il dossier di queste specifiche nomine.
L’Italia paga la scelta scellerata di aver abolito, con legge 537/1993, il Ministero della Marina Mercantile. Da allora non si è più avuta un’istituzione in grado di coordinare una complessiva politica nazionale sul mare. A differenza della Francia, nazione che ci ha superato per prodotto interno lordo determinato dalla cosiddetta economia blu. Un suicidio. L’ultimo rapporto sull’economia del mare, redatto dal Censis, stima grandezze economiche pari a 34 miliardi di euro. Pari al 2% del Pil nazionale. Numeri che potrebbero crescere in modo esponenziale nei prossimi anni. Ma serve innovare. Modernizzare. Fare i dragaggi. Serve fare nel Paese quanto non è mai stato fatto a Taranto. Il mare bagna la città, ma non i tarantini. Verità conosciuta, non negata, anche da chi non ha mai letto il capolavoro di Anna Maria Ortese.