L’incontro dell’altro ieri, tra il presidente Toma e i parlamentari di centrodestra, è stato un’occasione mancata. Non puoi parlare del malato se il malato ha marcato visita. Somministrargli cure omeopatiche a distanza. Continuiamo ad essere la città delle chiacchierate all’insegna delle chiacchiere
Discutere delle imprese dell’indotto senza le imprese dell’indotto. Senza i suoi rappresentanti legalmente riconosciuti. Senza l’associazione di categoria recentemente costituita. Nel dedalo senza fine dell’ex Ilva – e dei suoi tanti problemi irrisolti – accade anche questo. Che le relazioni industriali tomo tomo non funzionino. Che la locale Confindustria toma toma non rappresenti (non più), pensando invece di rappresentare, un intero comparto produttivo. Che la politica debole incontri chiunque, tutto e anche il suo contrario, perché ottenga da altri la forza che non esercita da tempo ormai. La riunione dell’altro ieri, tenuta nelle stanze di via Dario Lupo, tra il presidente Toma e i parlamentari di centrodestra, può iscriversi nell’alveo delle occasioni mancate. Delle discussioni monche. Dei conti fatti alla fine – e all’inizio – senza l’oste. Con i contenitori vuoti alla ricerca di contenuti volati già via. Diventa difficile, quasi inutile, parlare della malattia se il malato ha marcato visita. Se la possibile terapia si vuole somministrarla a distanza, in sua assenza. Con la medicina omeopatica al posto di quella ufficiale. Meno passerelle, e giorni anonimi sul calendario da segnare necessariamente di rosso, e più fatti se fosse possibile. Le chiacchierate (e le chiacchiere) indotte sono tante in questa città. Troppe. E’ l’indotto che deve tornare a fare l’indotto. Cominciando, per esempio, dal riconoscimento dello stesso come soggetto giuridico a se stante. Come interlocutore non fortuito. Si preferisca sempre la scena, quella reale, conquistata sul campo, alla presenza scenica.