L’italiano pericolante del Ministro del Made in Italy, la facoltà d’uso dell’Altoforno 1 di Acciaierie d’Italia che, come d’incanto, vede l’aggiunta di una nuova consonante. Se non vogliamo far diventare il Tecnopolo un Tecnopollo, si agisca con la logica della coerenza
Scivola sull’italiano il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso. Sentirlo palare è una rivelazione di fonemi sempre sull’orlo di un precipizio. Pericolanti e malfermi, nonostante l’impregno prodotto. Ma, oltre la grammatica, c’è di più. Proprio come quella canzone di Sabrina Salerno e Jo Squillo: “Siamo donne, oltre le gambe c’è di più”. Il di più, in questo caso, in questo specifico frangente storico-politico, chiamasi facoltà d’Urso: variante di destra (ma per quelli di sinistra, venuti prima, ero lo stesso) della Facoltà d’Uso. Istituto giuridico conosciuto a menadito da queste parti. Anche da chi, in vita sua, non ha mai sfogliato un manuale di diritto penale.
Cosa afferma in buona sostanza la Facoltà d’Urso? Semplice: qualora la magistratura dovesse porre sotto sequestro un impianto, come avvenuto dopo l’incendio dell’altro ieri all’Altoforno 1 di Acciaierie d’Italia, bisognerebbe comunque conservarne la facoltà d’uso. Cioè: la piena disponibilità del bene in questione. Altrimenti, e qui la Facoltà d’Urso divine a dir poco illuminante, una sorta di giureconsulto piombato a Taranto in un’assolata mattina di maggio, in punta – e tacco – di diritto, l’impresa che volesse acquistare l’ex Ilva potrebbe rivedere i suoi propositi. Ritirarsi. Restarsene in Azerbaigian. Perché nessuno, mi credi (mi creda, ministro), comprerebbe un impianto fermo. Che non produce.
In realtà un’impresa prima di produrre dovrebbe poter rispettare le leggi italiane, non disattendere le direttive europee, non ricevere lettere di messa in mora. Coniugare, insomma, le legittime aspettative del profitto con quelle – altrettanto legittime – della salute pubblica. Del rispetto ambientale. E i negoziati per l’acquisizione di un’industria come quella tarantina, senza questi prerequisiti di civiltà, non dovrebbero neanche partire. Potersi avviare. Il Tecnopolo del Mediterraneo, inaugurato ieri, nasce per questo. Perché la transizione ecologica possa accompagnarsi – e governarsi – con l’innovazione e la ricerca di qualità. In caso contrario, signor ministro, staremmo parlando di altro. Per lei pronunciare Tecnopollo in luogo di Tecnopolo è un gioco da ragazzi. Per noi, invece, si tratterebbe dell’ennesima fregatura.