I versi di Alda Merini ad inchiodare il nostro destino. L’inverno culturale e progettuale che non vuole passare. Quando non siamo commissariati, veniamo subappaltati
E’ un inverno torrido quello di Taranto. Che non conosce il normale alternarsi delle stagioni. Che attraversa le previsione meteo. Che si fa beffa dell’inesorabile dispiegarsi del tempo. E’ un inverno statico e profondo quello che accarezza, deturpandola, la città che fu di Archita. Un inverno dell’anima. Un inverno culturale e progettuale. Un inverno delle identità adulterate. Un inverno che gela quel che resta della nostra antica postura civica. E iberna la questione morale perché la stessa possa conservarsi intatta senza mai dover perire. Un inverno del merito e della dignità. Dell’orgoglio che cede volentieri la scena alla polluzione dei nostri comportamenti medi. All’invidia dei mediocri pronta a farsi sistema. L’ex Ilva, l’Arsenale della Marina Militare, i Giochi del Mediterraneo, Kyma Ambiente, la Camera di Commercio, l’Ordine degli avvocati, l’Ospedale San Cataldo, il nuovo Pug (che non si capisce che fine abbia fatto): quando non siamo commissariati, veniamo subappaltati. Ridotti a niente. Venduti per una cassa di birra. Accompagnati per mano ad uscire da casa nostra perché altri possano occuparla, incuranti di chiederci finanche il permesso. L’essere stranieri in patria è una sorta di tatuaggio inciso sulla nostra pelle. Siamo nient’altro che degli spartani al contrario: rinunciamo alla lotta perché refrattari alla battaglia. Indolenti all’azzardo per opportunismo e meschinità stataliste. Anche sull’hotspot, uno dei pochi a nascere nell’area del Mezzogiorno, manchiamo di coglierne le potenzialità implicite per lagnarci in anonime dispute ideologiche. In sterili baruffe che fanno il verso a ragionamenti preistorici. Tutte le grandi capitali mediterranee sono state – e continuano ad essere – crogiuoli di popoli diversi. L’inverno demografico delle nostre società, il depauperamento dei saperi, andrebbe combattuto con risposte antiche che sanno di moderno. “Non vedrò mai Taranto bella/ non vedrò mai le betulle/ né la foresta marina;/ l’onda è pietrificata/ e le piovre mi pulsano negli occhi/ (…). Alda Merini, che per amore sopraggiunto seppe mantenere un distacco ravvicinato verso la perla dello jonio, cucì con i suo versi il nostro destino. Colorando di luce poetica l’inverno che non vuole passare.