Un interessante articolo di Stefano Cingolani sul capitalismo italiano. Sugli intrecci dallo stesso realizzati con il mondo della politica. La richiesta dell’ideatore di Mediobanca a Bettino Craxi che, il leader socialista, lasciò cadere con fare stizzito. E i guai nei quali si cacciò il Paese da quel momento in poi
Leggere il bellissimo articolo di Stefano Cingolani su Il Foglio per capire che tutto resta tale e quale. Nella vita di ogni giorni. Nel nostro singolare Paese. Nelle relazioni – e intrecci opachi – tra capitalismo e politica. Con il primo vissuto all’ombra della seconda, almeno sino alla caduta del Muro di Berlino. E la seconda, da quel momento in poi, completamente fagocitata dal primo. Famoso l’invito rivolto, pochi mesi prima che scoppiasse Tangentopoli, da Enrico Cuccia (l’ideatore di Mediobanca e del salotto buono della finanza tricolore nel secondo dopoguerra) a Bettino Craxi. Va ripensato il primato della politica, sottolineò il banchiere di origini siciliane. Il mondo sta cambiando rapidamente. Diventi la finanza l’attore principale delle future dinamiche decisionali. Il segretario socialista sobillò. Vide salire la rabbia dalla punta dei piedi ai pochissimi capelli che gli resistevano ancora in testa. E mandò letteralmente al diavolo Cuccia. Da lì iniziarono le sue sfortune: politiche e umane. Da lì il Paese segnò una seconda cesura, dopo il rapimento e l’uccisione di Moro, con l’inchiesta della magistratura di Milano che azzerò le culture politiche antifasciste e repubblicane, ad eccezione di quella comunista.
Cingolani racconta bene quell’episodio, stranamente sfuggito alla pubblicistica nazionale e al mainstream informativo. A quello che Giuliano Ferrara chiama essere il Giornalista Collettivo con luciferina intelligenza e disinibita strafottenza. Un capitalismo che si fa beffa della politica, che la soggiace, che finisce con l’indicare la via, che passa all’incasso delle decisioni suggerite al legislatore, che cambia l’ordine degli addendi per cambiare finanche il risultato finale, e adulterare il gioco democratico, è la spiegazione prima del fallimento culturale della sinistra. Della perdita della sua identità. E del venire meno di differenze consistenti, di distinguo concettuali rispetto al campo liberal-conservatore. Craxi aveva capito bene a cosa saremmo andati incontro se si fosse dato seguito a questo schema da lupi di Wall Street. Dei grossi guai nei quali ci saremmo cacciati.
Gli Occhetto e i D’Alema, invece, assecondarono questo proposito pur di ridar vita ad un comunismo morente e smanioso di farsi socialdemocratico. Sconfitto dalla storia. Di acqua sotto i ponti, nel frattempo, ne abbiamo visto scorrere molta. Forse troppa. Il mondo è cambiato, ci ricorda Cingolani. Ma in peggio. Si è trasformato nel suo esatto contrario, in tutto quello per il quale i nostri padri e nonni hanno lottato, sognato e perso la vita nel Novecento: il secolo scorso, il secolo breve seconda l’indovinata definizione di un importante storico inglese. La patologia chiama altra patologia. Con la cura che tarda a trovarsi…