Taranto è città acefala, e allo sbando, per precise responsabilità del suo sindaco e di un Consiglio comunale a dir poco sconclusionato. Mandarlo a casa però, subito dopo avergli fatto mangiare il panettone, per tornare alle urne il prossimo mese di giugno, non è la soluzione. La soluzione è restare in mezzo al guado. Farlo, se fosse possibile, con un pò di dignità in più
La linea più breve tra due punti è l’arabesco. Ennio Flaiano ne era convinto. E la distanza tra un Patano qualsiasi e il pantano (politico e amministrativo) quanto è lunga? O corta, a seconda dei punti di vista? La sola conta dei consiglieri comunali – e della loro prassi trasformista – non basta più al sindaco di Taranto e alla sua sconclusionata maggioranza consiliare. Non può bastare. Alzare la mano nell’assemblea di Palazzo di Città è gesto meccanico, esercizio retorico. Una sorta di riflesso pavloviano. Il cameo di un film molto più grande. I numeri slegati dal progetto, gli appetiti famelici deformi, somigliano a quell’eutanasia del pensiero operante così in voga nelle nostre società. E al rovinoso arretramento di un’idea di comunità in luogo di un poltronificio bolso, da fine dei tempi. Sgraziato nei modi, inconsistente quanto a contenuti rilanciati. Taranto oggi è questo. Una città sospesa – e ripiegata su se stessa – tra atto e potenza. Potenzialmente forte, la più interessante realtà urbana dell’intero Mezzogiorno. Emblema di un mediterraneo, problema e soluzione al tempo stesso, di aporie mai indagate a fondo. In atto, invece, nella prassi giornaliera, è capoluogo degli equivoci. Territorio acefalo. Sporco. Tracotante con i deboli e mellifluo con i forti (ancora una volta Flaiano ci viene in soccorso con i suoi aforismi…). Alla sbando. Commissariato nell’anima prima che negli eventi dal rilievo internazionale; eterodiretto nei ragionamenti da far prevalere più che nel funzionamento delle strutture amministrative. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche apparse nei giorni scorsi, questa Amministrazione cesserà d’esistere per manifesta incapacità agli inizi del prossimo anno. Giusto il tempo di far mangiare il panettone a Melucci e ai suoi sodali. Magnanimità natalizia che consentirebbe di tornare alle urne il prossimo mese di giugno. A distanza di poche settimane, se fosse così, dalla celebrazione delle elezioni europee e delle nuove Province che torneranno ad essere le vecchie Province. Credo poco a questa possibilità, Melucci e l’attuale Consiglio comunale sono le due facce della stessa medaglia. Due debolezze identiche e contrarie. Tolti da quel contesto, sfrattati da Palazzo di Città, privati dalla fortuna cieca che le democrazie liberali delle volte sanno regalare a perfetti sconosciuti, si fa fatica a vederli collocati in altri luoghi. Impegnati a fare altro. Il vero patto di maggioranza, in realtà, è questo. Altro che centrosinistra, Pd, liste civiche, Italia più morta che viva. Tenersi stretta questa legislatura, accada quel che accada, perché oltre la stessa c’è l’anonimato (per loro). L’oblio delle voci afone. Il naufragio delle occasioni non coltivate. Melucci non correggerà il destino di Taranto, non è nelle sue corde riuscirci. Neanche mandarlo a casa anzitempo però, così come meriterebbe, servirebbe a qualcosa. Stare in mezzo al guado con più dignità sarebbe già una gran cosa. Il massimo del minimo considerati gli attori in campo.