Abbate che salva Melucci ricorda la rubrica di Striscia la Notizia “I nuovi mostri”. Una città di 200 mila abitanti, che resta appesa alla decisione di Abbate, dovrebbe interrogarsi a fondo sulle ragioni del suo declino culturale. Non si scomodi la politica per discorrere di miserie umane
Il primo firmatario della mozione di sfiducia al sindaco di Taranto è la diciassettesima firma che manca. Che latita. La firma senza inchiostro e faccia. La firma che urla e impreca perché possano celarsi contraddizioni evidenti. La firma che trascina la vicenda politica e amministrativa della seconda città pugliese in una commedia trash. La firma che, eclissandosi, non rispondendo al telefono, salva l’indennità e relega nel baratro inerziale una città di 200 mila abitanti. La firma attesa che, alla fine, non arriverà. E’ la nemesi della storia, la sua vendetta oscena, l’allungo triviale consumato a danno di una comunità sfortunata. Violentata dall’inconsistenza accreditata. Vituperata dalla violenza verbale esercitata in sfregio alla professione giornalistica. Taranto, prima o poi, dovrà interrogarsi sul perché sforni un così alto numero di personaggi in cerca d’autore. E confonda l’affanno per talento esploso all’improvviso. E perché qui, più che altrove, attecchisca il cabaret confuso per impegno civico. Dove risiede l’inghippo? L’anomalia tatuata sulla nostra pelle neanche fosse una colpa ancestrale?
Melucci continuerà a fare il sindaco, ma non potrà governare. Abbate continuerà a sedere in Consiglio comunale, ma non sarà più credibile dopo stasera. Non lo era neanche prima a dire il vero. Aveva ragione Kahlil Gibran: “Ogni male ha il suo rimedio, tranne la stoltezza”.