Sentenze e tesi difensive dalle quali sembrerebbe emergere una preoccupante e pericolosa volontà di ridimensionare la violenza sulle donne
La Procura di Roma ha impugnato la sentenza di assoluzione del bidello accusato di aver molestato una studentessa di 17 anni dell’istituto Cine Tv Roberto Rossellini.
L’uomo era stato assolto dai giudici, secondo cui “il fatto non costituisce reato”; tra le motivazioni che hanno determinato la decisione c’è la velocità con cui l’uomo avrebbe toccato i glutei della ragazza: tra i 5 e i 10 secondi, “senza alcun insistenza nel toccamento, da considerarsi quasi uno sfioramento”.
La ragazza, invece, aveva raccontato che mentre saliva le scale con un’amica per andare in classe, si era sentita abbassare i pantaloni e sollevare attraverso gli slip. Quando si era voltata aveva visto che l’autore del gesto era il bidello, che alla sua reazione avrebbe risposto: Amo’, lo sai che scherzavo”.
I pm romani, ora, ritengono che il Tribunale “incorre in errore nella valutazione delle prove acquisite, nella ricostruzione del fatto contestato e nella valutazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo”.
Senza voler entrare nel merito della causa, quello che fa discutere è condizionare la definizione di violenza sessuale o molestia al concetto di tempo.
Secondo quale criterio, infatti, si può stabilire che un tocco intenzionale, durato meno di 10 secondi, non è da considerarsi malizioso?
Da quando invadere volontariamente l’intimità altrui è permesso, a patto che rientri in una manciata di attimi?
Legare l’intenzionalità di un gesto alla sua durata potrebbe essere davvero rischioso oltre che inutile e fuorviante.
Voltiamo pagina.
Un caso di femminicidio: per l‘omicidio della 26enne Carol Maltesi, che l’11 gennaio 2022 fu uccisa dal 44enne Davide Fontana, i giudici hanno emesso una condanna a 30 anni di reclusione nei confronti dell’omicida, respingendo la richiesta di ergastolo da parte della Procura.
Nessuna delle aggravanti contestate (premeditazione, crudeltà e motivi abietti e futili) è stata riconosciuta.
Nella sentenza si legge che l’uomo era “perdutamente innamorato” della “giovane e disinibita Carol“, ma si era reso conto che “lei si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato: ciò ha scatenato l’azione omicida“.
Quindi, secondo quanto depositato al Tribunale di Busto Arsizio, sarebbe utile sottolineare che questa donna si era avvicinata al mondo del porno online, per arrivare alla conclusione che se Fontana l’ha uccisa a martellate, ne ha fatto a pezzi il corpo, l’ha conservato in freezer, tentando poi di bruciarlo e infine gettandolo in un sacco tra le montagne era tutto “un modo per venire fuori da questa condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui”.
Arriviamo ora, a Taranto.
A fine giugno il direttore di un ufficio postale della città viene arrestato per aver nascosto una videocamera all’interno del bagno riservato alle donne, scaricandone poi il contenuto sul suo computer.
Questa mattina il Tribunale di Taranto ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocato difensore, Luigi Semeraro, in cui si sostiene che “l’uomo avrebbe agito non per carpire immagini hot delle colleghe ma per verificare se parlassero male di lui, a seguito di un calo lavorativo e di una successiva riunione mirata a spronare le dipendenti”. Tesi che, fortunatamente, non è stata ritenuta valida dal Tribunale del Riesame di Taranto, che ha confermato i domiciliari per l’ex direttore.
Fermo restando che, in alcuni casi, l’iter giudiziario non si è ancora concluso, qual è il filo rosso che collega queste tre vicende? A mio avviso, un tentativo nemmeno troppo velato di giustificare, sminuire, ridimensionare quanto accaduto.
Un bidello che solleva una ragazzina per le mutande è uno scherzo, un uomo che fa a pezzi la compagna non merita l’aggravante della crudeltà e della premeditazione perchè si era sentito usato, un datore di lavoro che spia le dipendenti può averlo fatto perchè temeva sparlassero di lui.
Grave, gravissimo errore.
Perchè ai nostri figli, alle nuove generazioni in cui riponiamo le speranze di un futuro migliore, in cui il numero dei femminicidi e delle molestie non aumenti esponenzialmente, dobbiamo insegnare che NULLA giustifica o ridimensiona la gravità di un omicidio, di una molestia, di un’invasione qualsiasi dell’intimità altrui.
Che esiste un rispetto irrinunciabile verso l’altra persona, che prescinde dalle delusioni amorose, dai presunti scherzi e dalle problematiche lavorative.
Che ogni persona o essere vivente costituisce una sfera sacra e inviolabile, alla quale avvicinarsi con cautela e attenzione, osservando i limiti e i divieti imposti dall’altro e senza mai cedere alla tentazione di sentirci padroni e liberi di comportarci come meglio crediamo; perchè è sempre bene ricordare, come affermava Martin Luther King, che i confini del libero arbitrio terminano necessariamente dove hanno inizio quelli dell’altro.