Problemi per la nomina del segretario generale al Porto di Taranto. FdI e FI rivendicano la scelta che andrà effettuata. Lite tra fratelli coltelli. Peccato si balli sul cadavere di un scalo morto già da anni
Dopo il presidente, il segretario generale. Tempo di nomine al Porto di Taranto. Di politica e territori che giocano ad incastrarsi. Nella speranza che possa trovarsi l’equilibrio. L’agognato punto d’incontro. Gugliotti presidente; Gallucci, la già commissaria della Zes jonica, segretario generale. Questo ero lo schema che, in origine, si decise di portare avanti. Dal Governo. Dalla Regione. Dalla Lega che esprime il ministro dei Trasporti. Dai tarantini. No, dai tarantini niente. Pardon, ci siamo sbagliati. I tarantini: un fico secco. Sono inconsistenti a tal punto da essere ospiti in casa propria sempre.
Gugliotti-Gallucci, il nostro G2, che non sarà il G7 o il G8, ma questo passa il convento, aveva e ha una sua logica di base. Se il presidente è debole, nel senso che capisce di portualità come il sottoscritto dibatte solitamente di fisica quantistica, diventa necessario affiancarlo. Bilanciare la sua nomina con chi vanta esperienza e conoscenza della materia. Assortire la coppia che, altrimenti, scoppia. Nulla da eccepire. Chapeau. Ma, sul più bello, quando il matrimonio stava per celebrasi, quando il parroco chiedeva il fatidico sì agli sposi intrepidi, qualcosa s’inceppa. Fratelli d’Italia e Forza Italia, i due partiti italiani della coalizione di centrodestra, s’impuntano. Reagiscono male. Il nome del prossimo segretario generale, fanno sapere, dovrà essere concordato con loro. Altrimenti non se ne fa niente. Salta tutto.
Ma è già saltato tutto. E non da adesso. Sono anni che lo scalo tarantino non esiste nelle mappe dei traffici marittimi. Sparito dalle cartine geopolitiche. Relegato nell’anonimato. Offeso da una movimentazione di merci che lo vede inseguire non i porti di Genova e Trieste, ma quello di Gallipoli. Con tutto il rispetto per Gallipoli. Ci salverà il G2? I potenti della terra che da noi diventano marginalità. Come tutte le piccole cose che si raccontano essere grandi.


